telecomunicazioni

Volantini, bandiere e uno striscione con una scritta: «Per non finire come Alitalia, Tim unica e pubblica». Sono i lavoratori e sindacalisti dei Cobas e di Usb in presidio davanti al negozio della Tim in via Rizzoli. Manifestano contro il piano dell’azienda di dividersi in due società con entità legali separate: la Netco, che curerà la rete con 20.500 lavoratori e in cui andrebbero a confluire gli asset infrastrutturali (al netto di quelli mobili), e la Servco, la società dei servizi con un personale di 18.500 dipendenti.

Un’operazione pericolosa – si legge nel comunicato dei Cobas e di Usb - che rischia di portare l’azienda, ritenuta strategica per il Paese, a una sorte simile a quella di Alitalia. Dai sindacati fanno sapere che lo scorporo di Tim sarebbe dannoso sia in termini occupazionali che industriali. Sotto il profilo imprenditoriale il rischio è che la separazione indebolisca l’azienda nella sua capacità di competere, in vista di una concorrenza sempre più serrata sui processi di digitalizzazione. Sul lato occupazionale la prospettiva che un’operazione speculativa si risolva in un restringimento dell’organico aziendale non è del tutto da scartare.

A destare le perplessità dei lavoratori è soprattutto la Netco in cui dovrebbe prevalere il fondo speculativo americano Kkr, lo stesso che ha presentato il piano di chiusura dello stabilimento Magneti Marelli di Crevalcore. Domenico Conte di Usb - Lavoro Privato mette in luce anche un altro aspetto delicato delle telecomunicazioni, quello della gestione dei dati: «All’interno del fondo Kkr c’è anche un ex-generale della Cia (David H. Petraeus, ndr). Quando si parla di telecomunicazioni si parla anche di dati sensibili e questo ci preoccupa per la privacy dei cittadini».

La soluzione per i sindacati sarebbe quella di un ritorno a un controllo statale del settore. «Riteniamo l’azienda un asset strategico e quindi un bene comune. Bisogna pensare e pianificare un intervento statale che rilanci la Tim come unica e pubblica», continua Domenico Conte.

Per la chiusura dell’operazione – resa possibile dall’autorizzazione governativa del 17 gennaio scorso, perché riguarda la vendita di un’azienda attiva nel settore strategico delle telecomunicazioni - c’è ancora tempo. Il limite è fissato all’estate 2024 ma Usb e Cobas si dicono fiduciosi che la loro azione possa cambiare l’esito di questa storia. Un’ultima stoccata rivolta alle maggiori sigle sindacali – che non hanno partecipato ai presidi – l’ha data Nicoletta Frabboni della confederazione Cobas che si chiede: «Se i sindacati non si oppongono a queste azioni cosa devono fare?».

 

Nell'immagine: il presidio in via Rizzoli.

Foto di Giovanni Guidi.