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«Bruciare la bandiera israeliana, può piacere o non piacere, ma in nessun caso può essere tacciato come un gesto antisemita. A cuore aperto ci rivolgiamo alla Comunità ebraica di Bologna invitandola a prendere l’esempio dalle centinaia di fratelli ebrei che qualche giorno fa hanno occupato il congresso degli Stati Uniti gridando “non in mio nome” rispetto al massacro che Israele sta effettuando sulla popolazione di Gaza». Così replica il movimento Giovani e Palestinesi (Gep) in risposta alle accuse arrivate a seguito della diffusione delle immagini in cui si vede la bandiera di Israele in fiamme a Bologna. Nel frattempo, Assopace Palestina: «Si persegua chi compie i reati, no alle generalizzazioni».

Facciamo un passo indietro al 22 ottobre. Dieci centimetri di stoffa bruciano. I pezzetti che si staccano li porta via il vento. Ondeggiano, poi cadono a terra. Un accendino rosso insiste sul corpo del reato. C'è chi l’assedio di Gaza lo vive da 16 anni e chi negli ultimi giorni non può far altro che guardare con apprensione a quanto accade dall’altra parte del Mediterraneo. Mentre l’Europa si blinda e l’Italia revoca Schengen e serra i confini con la Slovenia – un triste amarcord che di fatto riporta indietro di trent’anniLe piazze e le strade delle principali città gridano all’unisono «Palestina libera!». In migliaia lo hanno fatto partendo da piazza dell’Unità e sfondando il blocco delle forze dell’ordine, lanciandosi in una corsa liberatoria in via Indipendenza, verso il cuore della città: piazza Maggiore.  

«Purtroppo è in corso un ribaltamento della realtà sui mezzi d’informazione che è a nostro avviso sconcertante». Una narrazione che, come in questo caso, lede entrambe le parti. «Così come si definiscono terroristi i palestinesi che legittimamente combattano un regime coloniale di occupazione, - prosegue Gep - così sui giornali si utilizza l’assurda accusa di antisemitismo contro chi legittimamente manifesta la sua opposizione al sionismo: un’ideologia colonialista e razzista che è alla base di un regime che da più di settantacinque anni è responsabile della pulizia etnica di un intero popolo».

Poi l’appello alla Comunità ebraica. «Li invitiamo a schierarsi al fianco del popolo palestinese che da settantacinque anni chiede che ebrei, cristiani, musulmani, samaritani ecc. possano tornare a vivere in pace come prima che il sionismo occupasse la Palestina». 

Ad esporsi sulla vicenda anche Stefano Casi, 61 anni, vicepresidente nazionale di Assopace Palestina: «Noi non bruciamo le bandiere. Se durante una manifestazione vengono compiuti reati, si persegua chi li ha compiuti. No alle generalizzazioni». In un contesto quanto mai delicato, «è inaccettabile. Così come lo è bruciare qualsiasi altra bandiera e come vietare quelle palestinesi in Israele. Tanto più che parliamo di simboli, sia pure importanti, mentre in questo momento si sta compiendo un massacro di civili innocenti».

Le responsabilità del gesto insomma sono di chi lo compie, quindi «no alle punizioni collettive - che piacciono tanto in questo periodo -, no al divieto preventivo alle manifestazioni, cosa che appartiene a un'ideologia totalitaria che in Italia non può avere legittimazione». Ed infine, chiosa Casi: «No al divieto di manifestare per chiedere lo stop a un genocidio in corso e a un'occupazione pluridecennale che da troppo tempo sta tenendo in scacco la pace nel mondo».  

Nelle ultime 24 ore sono morte 704 persone palestinesi a Gaza. Dall'attacco del 7 ottobre ad oggi 24 ottobre hanno perso la vita in 5.791, 16.297 quelle ferite. Le persone israeliane decedute 1.405, 5.431 i feriti. (Fonte: Al Jazeera)

 

Nell'immagine la bandiera di Israele a fuoco. Foto di Chiara Putignano