Quindici

Murales

«L’arte è fatta per disturbare», diceva Salvador Dalì, e addentrandosi tra le pareti del Mostro di Casalecchio si ha l’impressione che quest’aforisma gli calzi a pennello. Lungo oltre cento metri e con una torre alta più di venticinque, dalla quale si delinea in lontananza il profilo del Santuario di San Luca, questa “bestia di cemento” di sei piani giace abbandonata da oltre sessant’anni nel comune alle porte di Bologna. Al riparo dagli occhi prudenti del centro abitato e snobbato dalle istituzioni, lo stabile è diventato il parco giochi prediletto di ragazzi in cerca di adrenalina, che vi si avventurano in ronde semisegrete per fare parkour, salti e acrobazie tra ostacoli architettonici. Ma non solo: armati di bombolette spray e schizzi di disegni, il luogo deve gran parte della sua fama ai writer che da decenni utilizzano le sue pareti come tele su cui dar sfogo alla propria arte. Tra frasi, simboli, disegni e tag, la firma distintiva di ogni graffitista, ogni muro è ricoperto da strati di murales. Una vera e propria galleria di arte urbana nascosta tra rovi e cemento armato, per vedere la quale non si paga un biglietto ma ci si infila da una fessura nella rete di recinzione. Illegalmente, perché la struttura, che in origine doveva ospitare il seminario dei Padri passionisti, ora è di proprietà privata. Dall’esterno, il Mostro appare come un enorme parallelepipedo grigio, sul quale spiccano le tinte accese dei graffiti esterni. Al piano terra, umido e poco illuminato, si ha la sensazione di essere risucchiati in un labirinto di stanze dalle pareti interamente sfondate o con grossi buchi. Scritte di ogni tipo riempiono lo spazio e la mente: nomi, dichiarazioni d’amore, parolacce, insulti. Da una porta si intravedono delle scale che conducono nei sotterranei. Nel buio pesto si sente volare un pipistrello; camminando si inciampa in lumini religiosi, foto e bottiglie di alcolici. Risalendo, i resti della ringhiera della scala sono delle spranghe di ferro arrugginite e penzolanti. Il primo piano, più luminoso, accoglie i coraggiosi visitatori con un ampio spazio un tempo destinato a essere la cappella dei monaci. Per terra, resti di fili elettrici, pezzi di intonaco e calcinacci. Ai piani alti si incontrano i murales più grandi e stravaganti, un Homer Simpson sotto effetto di stupefacenti, un Bugs Bunny stanco, ma anche quelli più inquietanti: un cobra avvinghiato attorno a un teschio, il volto rosso di un diavolo che sorveglia dall’alto i gironi di questa cattedrale blasfema. Nell’atrio principale al quarto piano, un writer diciannovenne è intento a realizzare un’opera commissionata per un video rap, mentre si lascia ispirare dalla voce di Eminem che proviene da una cassa appoggiata tra calcinacci e bombolette. Un ascensore mai installato avrebbe dovuto condurre al terrazzo, ma la sua tromba, da sempre vuota, è ora una trappola scoperta e non segnalata. Per salire in cima, l’unico modo è mantenersi in equilibrio su scale dai gradini sbeccati e sprovviste di ringhiere. Ma dall’alto, la vista regala sorprese: prati in fiore, tetti rossi e le punte degli Appennini bolognesi avvolte dalla foschia. Peccato, però, che si debba stare attenti a non fare passi falsi. Il tetto del Mostro attende dal secolo scorso di essere completato con i parapetti. La costruzione iniziò nel 1958, per opera degli architetti bolognesi Daini, Gresleri e Parmeggiani, che si ispirarono all’urbanista francese Le Corbusier. Un progetto studiato ancora oggi nelle facoltà di architettura, poiché capace di armonizzare visivamente la grande mole di cemento con il verde dei colli circostanti. Il cantiere dell’eremo, tuttavia, fu interrotto già nei primi anni ’60 per la crisi delle vocazioni religiose, o per mancanza di fondi. Da allora ha cambiato più volte proprietà, passando per società come Oikos, Grandi Lavori, Coop Costruzioni ed Eremo srl. Da poco è subentrata una nuova società immobiliare. C’è chi propone di raderlo al suolo, chi si lamenta per il suo inutilizzo e chi, invece, vorrebbe trasformarlo. Nel tempo, sono stati numerosi i progetti di riconversione rimasti solo su carta. «Attualmente esiste un progetto articolato di riqualificazione – dice Massimo Bosso, sindaco di Casalecchio dal 2014 -. L’esame tecnico è in fase avanzata, ma non siamo ancora riusciti ad approvarlo in Consiglio per i tempi amministrativi lunghi». Il piano punterebbe ad abbattere il fabbricato per poi costruire una zona residenziale grande quanto la metà dello spazio ora occupato, con ampi spazi verdi circostanti. Nel frattempo, il fascino proibito dell’ex edificio religioso continua a richiamare appassionati di “urbex”: un fenomeno che consiste nell’infiltrarsi in luoghi abbandonati per esplorarli, portando alla luce perle artistiche e architettoniche dimenticate, e riportandole in auge grazie a foto e video postati in Rete. Una passione, quella per la bellezza trascurata, che spinge ad affrontare i pericoli che il Mostro cela al suo interno: gradini rotti, cumuli di spazzatura, pezzi di vetro, animali selvatici e cornicioni sprovvisti di barriere protettive. «Più volte abbiamo emanato delle ordinanze che vietano di entrare illegalmente nella struttura – spiega Bosso –. Qualche volta si è reso necessario l’intervento di polizia locale e carabinieri». Ma, aggiunge il sindaco, negli ultimi dieci anni non si sono verificati incidenti gravi. E proprio nei giorni in cui il MAMbo ha inaugurato una mostra sul writing italiano, curata da Fabiola Naldi, viene da chiedersi se quei muri hanno un valore artistico o sono soltanto scarabocchi. «Diciamo che di valore ce n’è poco – risponde K, writer un tempo molto attivo nel bolognese –. Il Mostro ha fatto da laboratorio, da palestra. È un posto dove potevi andare a esercitarti. Molti writer e street artist sono passati da lì, ma anche molti ragazzini che per un po’ si sono interessati al mondo dei graffiti». E racconta: «A Bologna, negli anni ’90, abbiamo avuto il boom che ora si è affievolito o è molto cambiato. Tra i graffiti più interessanti, che ancora si intravedono, c’è il fenicottero che ricorda uno scroto, credo a opera di Ericailcane, che sovrasta la torre del terrazzo. Interessanti anche alcune scritte di Resko realizzate in posizioni irraggiungibili». Avrebbe senso provare a salvare alcune di queste opere? Per K provare a prelevare alcune per conservarle sarebbe in contrasto con questo genere di arte. «Il writing e soprattutto la street art sono strettamente legati ai luoghi dove vengono riprodotti. Hanno una scadenza dettata dalla tipologia dei materiali utilizzati e dai fenomeni atmosferici a cui sono soggetti. Ogni pezzo può essere crossato, ovvero coperto da un writer rivale in qualunque momento. Fa parte del gioco. La sfida del writing è proprio quella di riuscire a utilizzare le lettere in modo singolare, rendendole quasi indecifrabili e in posizioni visibili ma difficilmente raggiungibili. Per questo motivo non avrebbe senso rinchiuderli in un museo». Per K, il Mostro è un pezzo di storia e di cultura underground bolognese ma è anche un luogo molto pericoloso. «Certo, un po’ mi dispiacerebbe se lo demolissero, ma è la cosa giusta da fare. È giusto anche che assieme a lui scompaiano tutte le opere. È una degna fine. È la loro destinazione. Si tratta di un luogo estremamente pericoloso, ricordo che una volta mi è caduto a fianco un enorme pezzo di cemento. Ancora ringrazio di non esserci finito sotto. A volte con i miei amici abbiamo incontrato dei tossici o dei senzatetto, rifugiati al piano inferiore. Altre volte persone che venivano a giocare a softair. Facevano delle guerriglie con pistole e fucili ad aria compressa nelle stanze dell’edificio. La cosa più strana che abbiamo visto è stato un uomo con un lungo mantello nero e una torcia accesa in mano. Un’immagine raccapricciante».