la testimonianza

Helga Schneider

Per gentile concessione di Helga Schneider

 

«Ho vissuto a Berlino dal 1937 al 1948. Durante i quattro mesi trascorsi da Hitler nell’ultimo grande bunker, io abitavo in un quartiere non molto distante». Con queste parole, essenziali eppure incisive, si apre Hitler. Mai prima di mezzogiorno, l’ultima prova della scrittrice Helga Schneider, pubblicata per i tipi di Oligo Editore.

Tedesca nata in Slesia, italiana d’adozione, da più di sessant’anni Helga Schneider vive a Bologna, e ha scelto l’italiano come veicolo per le sue storie, per le sue testimonianze, in quanto osservatrice diretta, quando era solo una bambina, dei bombardamenti degli Alleati su Berlino durante la Seconda guerra mondiale.

Oltre a un’infanzia caratterizzata da assenze e privazioni nel contesto bellico, si aggiunge il fatto di essere stata una dei pochi civili ad aver incontrato Adolf Hitler nel suo bunker nel dicembre del 1944, avendo partecipato all’iniziativa propagandistica denominata “i piccoli ospiti del Führer”.

Questi eventi sono affrontati in diversi suoi libri, tra i quali spiccano Il rogo di Berlino e Lasciami andare, madre, che hanno reso il suo nome un chiaro esempio di difesa della memoria contro le riscritture della Storia.

Helga Schneider ci consegna adesso un’opera che è insieme saggio e romanzo, un viaggio nel mondo di ieri per riflettere con attenzione sulla parabola discendente della barbarie nazista, ma anche per cercare di capire il mondo di oggi.

 

Il suo nuovo libro si presenta come un affresco degli ultimi episodi salienti della Seconda guerra mondiale in Germania e dei suoi protagonisti. Quali sono stati gli strumenti per questa ricostruzione storica?

«Ho usato il metodo dell'esperienza personale unito a documentazioni che mi ero procurata nei miei diversi ritorni a Berlino, dove avevo e ho ancora dei parenti».

 

Cosa l’ha spinta a scrivere questo volume?

«L’obiettivo è sempre stato uno solo: testimoniare».

 

Il libro è in particolare un fedele ritratto di Hitler alla fine della sua vita. Lei ebbe modo di conoscerlo di persona, come fu possibile l’incontro?

«Fu possibile grazie a mia zia acquisita, sorella della mia matrigna. Lavorava al ministero della propaganda del Reich, alle dipendenze del ministro Joseph Goebbels».

 

Che cosa provò quando venne a sapere che lo avrebbe visto nel suo bunker?

«Provai paura al pensiero di andare a far visita a Hitler, perché Berlino veniva bombardata dagli Alleati in continuazione».

 

Che tipo di uomo si trovò davanti?

«Mi trovai davanti a una larva umana, curvo, trascinava i piedi sul pavimento e aveva il Parkinson già molto avanzato. Fu uno shock, anche perché sulla figura del Führer erano circolate per anni informazioni devianti, menzognere. Io avevo in mente un uomo alto e atletico. Alla fine della guerra, e in quel bunker, Hitler era, al contrario, molto malato».

 

Può svelare un particolare indelebile di quel giorno?

«Io mi immaginavo Hitler con gli occhi azzurri. Beh, erano blu».

 

Perché il curioso sottotitolo Mai prima di mezzogiorno?

«Hitler fin dalla sua presa del potere aveva dato ordine al suo cameriere personale, Heinz Linge, di non svegliarlo mai prima di mezzogiorno. Si era sempre sentito un bohémien, un artista, anche dopo essere stato bocciato per ben due volte all'esame di ammissione all'accademia di Belle Arti di Vienna».

 

Tra i diversi personaggi del libro lei spende molte parole sulla singolare figura di Eva Braun.

«Io non avevo mai visto Eva Braun. La mia idea è che provava davvero qualcosa per Hitler, non solo ammirazione per il suo potere. Allo stesso tempo, e per diversi anni, lei godette del fatto che Hitler le permetteva di condurre una vita di lusso, poteva davvero permettersi ogni cosa che desiderava. Alla fine della guerra, lui si trovava rinchiuso nel grande bunker di Berlino e lei continuava a vivere nella ancora abbastanza sicura Baviera. Poi però, a trentatré anni, Eva Braun partì per Berlino per morire accanto a Hitler».

 

Oltre ai bombardamenti a Berlino e all’incontro con il Führer, lei ha vissuto una grave assenza a livello familiare.

«Durante la guerra mia madre aveva abbandonato me e mio fratello. Io avevo quattro anni, mio fratello diciannove mesi».

 

E una volta adulta, la decisione di scoprire dove fosse.

«Era il 1971 e trent’anni dopo il suo abbandono mi era venuta voglia di cercarla per sapere il motivo del suo abbandono. La trovai, e poco dopo andai a Vienna con mio figlio di cinque anni per conoscerla».

 

Che cosa scoprì?

«Scoprii che ci aveva abbandonati per diventare un membro delle SS e fare la guardiana nei campi di sterminio nazisti».

 

E non rinnegò mai il suo passato?

«Era ancora convinta che Hitler aveva fatto bene a sterminare gli ebrei, perché secondo lei “quella sporca razza era colpevole di tutti i guai e problemi che aveva la Germania”».

 

Dal 1963 lei vive a Bologna. Qual è oggi il suo rapporto con la città e con l’Italia?

«Vivo a Bologna da sessantadue anni, è la città dove sto bene, dove mi sento a casa. L'Italia è la mia seconda patria, malgrado tutti i problemi che la affliggono, e che affliggono l’Europa e il resto del mondo, comprese le guerre, che nessuno sembra intenzionato a far finire».

 

Si sente più una scrittrice italiana, una scrittrice tedesca che scrive in italiano o una scrittrice e basta?

«Mi sento una scrittrice tedesca che scrive in italiano, perché amo moltissimo la lingua italiana».

 

Il suo impegno nelle scuole è da sempre molto forte. Quanto conta parlare ai giovani dell’importanza dello studio della Storia?

«È indispensabile studiare la Storia, perché è indispensabile sapere cosa è successo prima di noi, per evitare che il presente commetta gli stessi errori: dittature, razzismo, Olocausto, antidemocratismo, guerre».

 

L’Europa sta vivendo una generale svolta verso conservatorismi di destra. Il suo giudizio su questo clima politico.

«Io prevedo che l'attuale tendenza in Europa purtroppo si consoliderà».

 

Il suo libro è un monito per non dimenticare il male del passato. Ma secondo lei, in quest’epoca di rapidi cambiamenti culturali e tecnologici, qual è il volto del male? 

«Il vero volto del male resta sempre il regime di Adolf Hitler, e simili regimi di cui esistono ancora troppi esempi nel mondo».