Mostre

Un'opera tratta da "Dove il cielo è più vicino", di Moira Ricci (foto di Alberto Biondi)

 

"Quarta Casa" riunisce un’ampia selezione di opere dell’artista toscana Moira Ricci, create nell’arco di venticinque anni. La mostra, che si trova al MamBo, inizia con un calco del corpo della Ricci da cui parte una strada che porta dalla sua Maremma (ai piedi) e arriva a Milano (la testa), luogo dove in giovane età l’artista si è spostata per studiare e poi lavorare. L'opera è Faccio un giro e torno, un viaggio nella memoria e nel presente di Moira Ricci. Ai lati della strada, ci sono oggetti che rimandano a sue memorie, visioni e sensazioni compongono un paesaggio fitto e surreale, quasi onirico. Sullo sfondo, scorre un video dove una macchinina giocattolo dotata di microtelecamera percorre il corpo dell'artista e filma il suo viaggio. 

Nella stanza successiva, si può ammirare "Dove il cielo è più vicino". Il progetto consiste in un'indagine sulla storia contadina del paese natale dell'artista, con l'obiettivo di comprenderne le dinamiche passate e attuali e si articola in quattro opere. La prima, documentata con una ripresa da un elicottero, è una composizione di fuoco in un campo. Ricci traccia due cerchi concentrici di 400 e 90 metri e li incendia, ricreando l'antica iconografia inglese del Diavolo Mietitore, e serve come gesto rituale, di invocazione e di richiesta di aiuto al cielo. L'artista rappresenta poi lo smarrimento degli abitanti del posto attraverso una serie di fotografie di poderi abbandonati cui cancella digitalmente porte e finestre, facendone edifici muti e ciechi, senza funzione né identità. Con l'aiuto del padre e di alcuni contadini del vicinato, si cimenta in seguito nella trasformazione di una vecchia mietitrebbia in una sorta di astronave, materializzando il forte desiderio di un altrove da cui ricominciare. Infine, nel 2017, Ricci realizza una serie di ritratti di contadini con lo sguardo rivolto al cielo. A loro rimette il compito di accorciare la distanza tra terra e mistero, tra speranza e richiesta.

Passeggiando negli spazi del MamBo, ci si imbatte poi in "a Lidiput" che racconta delle stagioni estive dal 2002 al 2004 nelle quali Moira Ricci è stata ingaggiata come fotografa al Lido di Savio, in provincia di Ravenna. Qui l'artista riflette sull'esperienza vissuta e sull'umiliazione dovuta ai tanti rifiuti ricevuti.

Il pezzo forte e forse più noto della Ricci arriva verso la fine dell’esposizione. È "20.12.53 - 10.08.04" (sono le date di nascita e di morte della madre dell'autrice) dove, in un arco di tempo che va dal 2004 al 2014, l'artista ha scelto negli album di famiglia cinquanta fotografie che ritraggono la mamma in diversi momenti della sua vita, studiandone i momenti, i luoghi, la luce, i colori, le persone, per poi inserire la propria figura nella composizione. In molte fotografie la madre è più giovane di lei, in altre è sua coetanea.

L’esposizione più curiosa, a mio avviso, è "Da Buio a Buio", un racconto che si sviluppa attorno a quattro storie misteriose e inquietanti: "La bambina cinghiale", "Il Lupomannaro", "L'Uomosasso" e "Gemelli". Le vicende raccontate riprendono alcuni racconti mitici popolari, di cui Ricci ha sentito parlare da bambina nei contesti rurali in cui è cresciuta. Raccogliendo fotografie, video, ritagli di giornale, interviste e altri materiali che intrecciano memorie personali e narrazioni popolari, l'artista presenta queste storie come fatti di cronaca realmente accaduti, sfidando il confine tra verità e invenzione, tra memoria individuale e immaginario collettivo.