teatro
Una scena dello spettacolo (foto Paolopontivi)
Sì, fa riflettere. Fa riflettere sulla meravigliosa diversità dell’essere umano, sulle idiosincrasie, sui pregiudizi, sulle mezze verità e su qualche bugia imperdonabile. Dopo il successo cinematografico, il regista Paolo Genovese firma la sua prima regia teatrale per una commedia che, dietro il sorriso e la leggerezza, nasconde il dramma della società contemporanea, schiava di un voyeurismo esasperato, di quella smania di ininterrotta reperibilità che costringe sempre più spesso a non separarsi mai da quell’appendice elettronica ormai diventata un tutt’uno con le nostre estremità superiori. La trama è ben nota. Un gruppo di amici si riunisce attorno a un tavolo per una cena uguale a tante altre. Battute, bottiglie di vino, pacche sulle spalle, sorrisoni e confidenze di comodo. Poi, la proposta di rivelare i segreti contenuti negli smartphone. “A faccia rigorosamente in su”, con suoneria al massimo e vivavoce. Si risponde a qualsiasi chiamata, a qualsiasi messaggio. E allora si svelano quelli che altri non possono essere definiti se non inevitabili e imperituri scheletri nell’armadio. Che quasi ci si chiede se, forse, una buona dose di privato, di personale e di intimo, non debba essere preservata a tutti costi. Con tutte le proprie forze. E invece no, l’amore e il sentimento oggi sembrano misurarsi contando le reaction ai post su Instagram, in un’infinita ricerca ossessiva di follower e di following, di chi è quella? chi è quello? perché non rispondi? metti le spunte blu! voglio vedere il tuo “ultimo accesso”. E ci si dispera, ci si arrovella la mente con pensieri che conducono a nient’altro che allo scontro. Cadono le maschere, l’inconfessabile si mostra in tutta la sua semplicità, la fiducia vacilla e, come se non bastasse, ci si chiude in un silenzio che allontana ancora di più. Esseri presumibilmente pensanti, che solo mezz’ora prima sembravano vivere i loro momenti migliori, si trasformano in tenere farse anestetizzate e crolla tutto, ancora volta. Crollano le certezze, ci si toglie persino il saluto, si sbattono le porte, finiscono finti amori e altrettanto finte amicizie. Rocco, interpretato da Paolo Calabresi, che, guai a dirlo, si sottopone di nascosto a sedute di psicoterapia. Il rapporto genitori/figli in perpetua crisi, qualche cliché sul sesso, sull’omosessualità repressa, si sdogana almeno il termine frocio. E il pubblico ride, ride e applaude, applaude. Tanto che viene quasi il dubbio che pochi abbiano capito qualcosa.