Carceri

Due poliziotti di fronte a un carcere (foto Ansa)
«Sono molto preoccupato per la città perché potenzialmente è una polveriera». Con queste parole don Giovanni Mengoli, presidente del Consorzio Gruppo Ceis (Centro italiano di solidarietà), in occasione del convegno "Un luogo in cui abitare: le politiche abitative per minori-giovani adulti stranieri" tenuto su iniziativa dell'Istituzione Minguzzi e del Centro Astalli, ha espresso le proprie perplessità sulla sezione per detenuti giovani adulti creata nel carcere della Dozza di Bologna, con l'arrivo dai carceri per minorenni di qualche decina di ragazzi.
Secondo Mengoli, la Dozza sta correndo il rischio di esplodere «per colpa del Governo che ha deciso di fare questa sezione proprio a Bologna. Secondo me c'è anche un dispetto politico dietro. Noi abbiamo dei ragazzi che prima o poi usciranno, saranno stra-incazzati e non avranno nulla da perdere: quindi diventa potenzialmente una bomba esplosiva gigantesca». «Con il decreto Caivano – ha aggiunto il presidente Ceis - il problema che due anni fa avevamo nel sistema di accoglienza adesso ce l'abbiamo nelle carceri e bisognerebbe riuscire a fare delle azioni preventive per favorire l'inserimento dei ragazzi sul territorio dopo la detenzione». Un tema che coinvolge anche «le comunità di accoglienza per minori o neo maggiorenni che però sono ancora in affidamento al ministero della Giustizia», spiega Mengoli.
«Però ci sono poche risorse. Se vuoi fare un lavoro fatto bene, devi costruire una situazione di accoglienza quando i ragazzi sono ancora in affidamento fuori - spiega il sacerdote - ma con costi a carico del Centro di giustizia minorile, cioè del ministero, con tariffe importanti perché il lavoro educativo è impegnativo». «Il sistema della giustizia minorile per fortuna prevede che non si fa tutto il percorso in carcere, perché c'è anche l'affidamento fuori», ricorda Mengoli, però allestire una comunità «è complicatissimo». Un dato di partenza da tenere presente, a suo avviso, è il fatto che «adesso la maggioranza dei ragazzi in carcere sono tunisini ed egiziani» e questo rende più complicato il lavoro educativo. «Noi abbiamo delle comunità che lavorano sulle misure alternative al carcere, ma se fai una comunità dove sono tutti tunisini ed egiziani non riesci a lavorare perché si coalizzano tra loro». In altre parole: «Certi legami e certe relazioni sono davvero difficili da rompere. Se presi singolarmente, questi ragazzi hanno tutti storie che a me fanno pena, ma quando sono in gruppo si spalleggiano l'un l'altro e questo lo si vede in città». Insomma, si tratta di «un lavoro duro, non è facile trovare chi ci lavora e poi ognuna di queste comunità deve sopravvivere» dal punto di vista economico. «Realtà di questo tipo già attive a Bologna ce ne sono, però ce ne vorrebbero di più perché non sono sufficienti e perché i ragazzi bisognerebbe diluirli».
È un tema molto caro anche all'arcivescovo Matteo Zuppi: «Mi sta chiedendo - riferisce Mengoli - di fare una di queste comunità ma non è facile, perché poi non so che personale metterci». Insomma, ad aprire questa nuova struttura «noi ci proviamo, ma non è detto che riusciamo. Poi bisogna anche trovare un posto». Come se non bastasse il problema del sovraffollamento delle carceri, poi, la città vive anche il problema della carenza di appartamenti, con conseguenze nefaste per i minori e i giovani adulti stranieri in uscita dai percorsi di accoglienza che vogliono trovare un alloggio sotto le Due Torri. Tra le varie misure, «bisognerebbe anche fare qualcosa contro i b&b: non ce l'ho con chi li fa ma bisogna disincentivare», ha concluso Mengoli.