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Gaza

Bambini affamati a Gaza (foto Ansa)

 

«Not in our name». Non in nostro nome, dall’invasione dell’Iraq del 2003 a Gaza. Come 22 anni fa, lo ripete oggi Tina Marinari, coordinatrice di “Amnesty International”, mentre invita a creare movimenti dal basso, dibattiti e azioni concrete per condannare e fermare quello che non ha paura di definire un “genocidio”. Era il 5 dicembre 2024 quando l’organizzazione ha pubblicato il documento “You feel like you are subhuman: Israel’s genocide against Palestinians in Gaza” (“Sentirsi un subumano: il genocidio di Israele nei confronti dei palestinesi”), che attestava la presenza di elementi ritenuti sufficienti per definire le azioni di Israele dopo il 7 ottobre un "genocidio" nei confronti dei palestinesi. Da quella data, tra alti e bassi e uno spiraglio nelle trattative per lo scambio di prigionieri, la situazione è precipitata. «La storia è sempre più drammatica – spiega Tina Marinari – i morti crescono sempre di più ma il conteggio potrebbe essere più alto. I numeri del ministero della Salute di Gaza tengono conto dei deceduti e dei feriti registrati, ma sotto le macerie potrebbero essercene molti altri».

Dall’agosto del 2024 anche “Emergency” opera attivamente nella Striscia. Un coordinatore dell’associazione, Alessandro Manno, racconta di «una popolazione malnutrita, malata, senza energia elettrica». “Emergency” prova a sopperire alla mancanza di medici con una sua clinica ad al-Qarara, a nord di Khan Yunis (nel sud della Striscia). Durante il cessate il fuoco l’associazione prendeva in carico cento consulti medici al giorno, adesso si superano i duecento. «Continuiamo – dice Alessandro Manno – ma la situazione è sempre più difficile a causa del blocco degli aiuti umanitari. I cinque Tir che sono stati fatti entrare ieri non sono neanche lontanamente sufficienti». Israele rende complesso l’operato delle Ong nella Striscia, che continuano ad aiutare ma non sanno quanto potranno ancora resistere senza le materie prime. «Abbiamo cibo per lo staff, carburante per gli spostamenti e per i generatori elettrici e farmaci – spiega Manno – ma sotto una certa soglia saremo costretti a valutare di uscire dalla Striscia. Ovviamente sarebbe l’ultima spiaggia».

Con l’esercito israeliano che avanza sulla terraferma, l’indipendenza della Striscia da Israele non è più scontata. E la comunità internazionale agisce troppo tardivamente. «Siamo alle battute finali – commenta Manno – giudicheranno i tribunali internazionali. Le violazioni del diritto internazionale sono sotto gli occhi di tutti e saremo giudicati dalla storia». Il coordinatore di “Emergency” conclude con un invito alla contestazione, alla protesta, a chiedere conto alla politica delle scelte fatte: «Dobbiamo fare di più, protestare di più, anche con la disobbedienza civile». E anche per Tina Marinari di "Amnesty" questa è l’unica strada, l’azione dal basso, a livello locale, ma anche il potere elettorale. Per fare in modo che non sia «nel nostro nome».