Carceri

Carcere minorile del Pratello (foto di ANSA)

Carcere minorile del Pratello (foto Ansa)

 

Da una finestra del carcere minorile del Pratello vola un aeroplanino di carta, scendendo in picchiata sul campo sportivo dell’istituto penitenziario di Bologna. Il disegno di una barca e una scritta, rossa, in un italiano arrangiato racconta di una sorte poco clemente. «Non voglio più vivere», è il messaggio arrotolato alla bell’e meglio. Mosso dal vento, atterra, viene preso e tirato su da un agente della polizia penitenziaria che accompagna la visita di Filippo Blengino e Bianca Piscolla, dei Radicali Italiani, nell’istituto minorile. Quel bigliettino lo custodisce poi nella sua tasca e il giro per gli ambienti del carcere sovraffollato da mesi può continuare. I detenuti, dopo pranzo, tornano in sezione. C’è chi guarda un film alla televisione, chi invece segue gli esponenti del partito che, nell’ultimo anno, hanno girato gli istituti minorili d’Italia per verificare le condizioni in cui versano.

I corridoi sono cupi, la sporcizia è dappertutto al Pratello, raccontano. Al primo piano, si affacciano i giovanissimi. Il più piccolo ha quindici anni ed è entrato proprio quel giorno. Al piano di sopra, invece, ci sono i quasi adulti, il più grande ha ventidue anni. Blengino e Piscolla parlano di un luogo senza luce, dove gli spazi sono angusti. Di celle singole neanche l’ombra. In tutto, i ragazzi sono quarantotto, la capienza massima che gli ambienti possono raggiungere è, invece, di quaranta persone. A detta dei radicali, a pesare sono i cinquanta nuovi reati introdotti di recente nel Codice che stanno letteralmente facendo esplodere le carceri, dove l’attenzione al singolo è, ormai, bistrattata. La mancanza di personale e la quasi totale assenza di medici rendono le condizioni dei giovani detenuti durissime.

«La maggior parte di loro sono minori stranieri non accompagnati, arrivati al penitenziario di Bologna spesso sotto l’inganno di una realtà migliore, spesso dopo essere già passati per altri luoghi di detenzione crudeli», continua Piscolla che, durante la visita, scambia qualche parola con i ragazzi. «Voglio tornare a Nisida», il carcere minorile napoletano, nell’omonima isoletta. «Aiutami a uscire», dicono. Indossano tute della Nike e magliette griffate che, all’occorrenza, si scambiano per non farsi mai vedere vestiti uguali. «Le tendenze arrivano anche in carcere, d’altronde non c’è niente che li differenzi dai ragazzi che stanno fuori dal grigio edificio che li rinchiude». Anche se, continua la radicale, dentro le condizioni igieniche sono decisamente al di sotto della media. «I casi di scabbia? Frequentissimi».

Irrequieti, alcuni se ne stanno in gruppetti e scherzano tra di loro con una complicità nuova e forzata dal destino comune. Altri, invece, preferiscono passare il proprio tempo in disparte. Forse la timidezza o la sensazione di sentirsi esposti, secondo Piscolla, «messi in mostra agli occhi di chi non condivide la stessa sfortuna». «Molti di loro sono tunisini e hanno già vissuto la prigionia nel Paese d’origine e quando arrivano in Italia, soli, senza nessuno che gli guarda le spalle, arrangiarsi è l’unica speranza che hanno», dicono i radicali che guardano ai reati commessi dalla maggior parte dei ragazzi come atti “di sopravvivenza”. Si tratta, perlopiù, di spaccio, incoraggiato, per forza di cose, dal consumo di stupefacenti. Secondo i dati forniti dal direttore del Pratello e della Dozza, Alfonso Paggiarino, molti dei ragazzi che entrano sono dipendenti da Rivotril e Lyrica, riconosciute in gergo come «l’eroina dei poveri». Le compresse, a base di benzodiazepine, sono facili da avere (e da spacciare), costano pochissimo e, se ingerite in grande quantità, o meglio, mischiate con l’alcol, riproducono un effetto stupefacente.

Passata un’ora nell’istituto minorile del Pratello, gli esponenti di Radicali Italiani sono forti di una convinzione: «Il disagio psichico in cui si trovano i ragazzi è il segno di un’emergenza che non può non essere ascoltata dal Governo. Il sovraffollamento distrugge ognuno di loro, perché non sono seguiti con trattamenti individualizzati, consueti nell’istituzione carceraria minorile. Questo produce una marginalizzazione condita da sintomi psichici evidenti come l’autolesionismo». L’obiettivo del percorso tra le carceri d’Italia di cui il partito si è fatto carico è di fare breccia nell’Esecutivo Meloni, auspicando che le carceri minorili possano, un giorno, essere abolite, in virtù della costruzione di strutture alternative dove «le attività di riabilitazione e reinserimento tengano conto della dignità umana».