La mostra

"Tropical landscape" di Louise Nevelson (foto di Edoardo Cassanelli)
Immaginate dei mondi oscuri, architetture geometricamente ambigue – come nelle storie nate dalla penna orrorifica di Lovecraft – strutture quasi dall’aspetto alieno, archetipi fissi in uno spazio definito, incastonati nel senso criptico di un’arte dall’estetica austera. È ciò che si può vivere per le stanze di Palazzo Fava, alla scoperta della mostra dedicata a Louise Nevelson, scultrice americana nata in Ucraina e di origine ebraica. La collezione rimarrà aperta al pubblico fino al 20 luglio. Una selezione di opere composte da tecniche e materiali misti, narrante la storia di un’artista che non ha mai seguito il tracciato delle convenzioni e che si è dedicata per gran parte della sua vita all’assemblaggio di elementi di scarto, dando corpo a una fantasia seriosa ma accattivante. A farla da padrone, in questo viaggio nella memoria personale di Nevelson, sono le sculture in legno (materia viva, “parlante”), in particolare, le sculture in legno dipinte di nero. Al primo sguardo sembrano banali porte, armadi, casseforti blindate, ma c’è di più: racchiudono in sé un universo di oggetti che si snaturano per rinascere attraverso una composizione alchemica. E le ombre negli anfratti di queste creazioni danno all’insieme un senso lugubre e carico di segreto, ancora più accentuato dal colore nero, custode di ciò che non si conosce e che provoca smarrimento. Tutto è paesaggio, forme magiche, un modo inedito di vedere una realtà traslucida, grazie a un simbolismo ordinato eppure caotico dentro la sua fiera rigidità. Una “lettura” della quotidianità che diventa mistero da interpretare.