Università

Il rettore Giovanni Molari (foto di Giulia Carbone)

 

«A Bologna ci sono studenti di ogni parte del mondo – dice Giovanni Molari, rettore dell’Alma Mater – e, oggi, molti iraniani faticano a tornare in città per proseguire gli studi». Una laurea in ingegneria meccanica, il dottorato in ingegneria dei materiali a Modena, l’insegnamento alla facoltà di Agraria e dal 2021 la guida dell’ateneo bolognese. Molari riflette sulla centralità dello scambio inter-universitario, sulle condizioni della ricerca in Italia e sulle criticità risolvibili e urgenti di una delle istituzioni più antiche del mondo.

 

L’effetto Trump sulla sospensione dei visti per gli studenti internazionali si è sentito anche a Bologna?

«Più che di sospensione, io parlerei di un forte rallentamento nella concessione dei visti in entrambe le direzioni. Da e per gli Stati Uniti. In questi ultimi giorni, tuttavia, abbiamo assistito a una ripresa degli appuntamenti e la mia speranza è che presto si ritorni alla normalità».

 

Una normalità che consente la mobilità degli studenti.

«Sì, la mobilità è una delle maggiori soluzioni a tutti i problemi che abbiamo. L’Università di Bologna ha attivi moltissimi scambi con gli Stati Uniti e, da sempre, è una delle mete di studio preferite dai cittadini americani. È uno scambio che è stato sempre molto proficuo. Quest’anno, solo dalle accademie californiane sono arrivati 120 studenti. Complessivamente abbiamo 250 ragazzi provenienti dagli Stati Uniti e 60 studenti italiani che studiano oltreoceano».

 

Volgendo lo sguardo all’Italia, qual è lo stato generale dell’Università, anche nella prospettiva della ricerca e dell’innovazione?

«Posso dirle che siamo in buone condizioni, rafforzate anche dal Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza. Abbiamo ottenuto tanti finanziamenti per potenziare le strutture, per migliorare l’edilizia e per aumentare il numero di ricercatori e dottorandi. Ora la sfida è quella di stabilizzare questo lavoro senza arretrare, evitando le riduzioni e continuando su questa direzione».

 

Nel particolare caso dell’Alma Mater, quali sono le criticità più rilevanti e urgenti da risolvere?

«Nel corso degli anni è stato fatto un grande lavoro, soprattutto per favorire l’internazionalizzazione e consentire a un numero sempre più imponente di studenti stranieri di studiare a Bologna. Nel 2025 abbiamo avuto un aumento del 25% e oggi il 15% degli iscritti proviene da un paese estero. Questo penso sia uno dei grandi vantaggi dell’Alma Mater. Il problema sono gli alloggi».

 

Intende la ricerca di una struttura adeguata e il caro affitti?

«Sì, penso ci sia moltissimo lavoro da fare. Noi, come Università, abbiamo fatto quello che potevamo fare, accordando un contributo complessivo per le locazioni di 600.000 euro l’anno. Abbiamo aumentato il numero delle residenze, ma non è un nostro compito quello di realizzare studentati. La situazione più critica è a Bologna. A Ravenna e a Rimini, insieme a Ergo, è stato messo a punto un sistema che sembra soddisfare le esigenze degli studenti. Ma, ripeto, è un problema che non si risolve solo con gli studentati».

 

Oltre al caro affitti quali punti deboli ha l’Alma Mater?

«Bisogna aggiornare e rinnovare i corsi, introdurre nuove tecnologie e nuovi sistemi di didattica innovativa. Possiamo migliorare, ci stiamo lavorando e penso che sia uno degli obiettivi centrali per i prossimi due anni».

 

Allargando la visione ai conflitti in corso nel mondo, come è intervenuta l’Universitá?

«Il Senato Accademico ha approvato tre delibere con riferimento al conflitto che vede coinvolti Israele e Palestina. Ci sono studenti israeliani, palestinesi e iraniani che in questo momento hanno difficoltà enormi a raggiungere Bologna. Il nostro obiettivo è quello di cercare soluzioni che rendano più semplice la vita ai ragazzi che frequentano l’Alma Mater. Continueremo a lavorare in questa direzione».