ristorazione
La sede storica di Indegno in via del Pratello (foto concessa dal titolare)
«Gli affitti incidono, ma non sono la causa della chiusura di tanti locali. Tutto sta nel farsi bene i conti in tasca prima di lanciarsi in un’attività ristorativa». Andrea Liotta, uno dei fondatori del locale di street food "Indegno", commenta così il recente report della Camera di Commercio di Bologna che ha rivelato come, nel 2025, hanno chiuso i battenti 304 ristoranti in città mentre hanno riaperto solo 142.
"Indegno" è un format partito in piccolo nel 2019 da un gruppo di giovanissimi, «quasi per scherzo», racconta Liotta. «Io e due miei amici avevamo appena finito di fare serata e, per le 23, volevamo mangiare una crescentina, ma non abbiamo trovato nessun negozio aperto. Era da tempo che volevamo aprirci un nostro locale, e in quel momento abbiamo pensato “perché non lo facciamo?”», spiega il fondatore. «Il caso ha voluto che, passando per il Pratello qualche giorno dopo, abbiamo visto che c’era un locale sfitto. A quel punto ci siamo lanciati».
Non è stato però un lancio nel vuoto. Liotta e i suoi amici vengono da una lunga esperienza nella ristorazione. Come Andrea, che aveva lavorato in cucine stellate come pasticciere. L’avvio fu promettente, ma la pandemia di Covid diede uno stop. «Ci ha salvati il fatto che a lavorare eravamo solo in due in una sede da 20 metri quadri, quindi pochissimi costi. Però il Covid ci ha colpiti duramente. Fatturavamo al massimo cento euro nelle giornate più fruttuose».
Poi c’è stato il boom alla riapertura degli esercizi commerciali. Oggi “Indegno” conta undici dipendenti, tre sedi e un food truck, ovvero un chiosco itinerante, con il quale esportano la crescentina bolognese in tutta Europa, arrivando fino in Finlandia, dove hanno recentemente partecipato al “Little Italy Festival”, evento in cui si celebrano cibo e vini italiani che fa tappa in tre città finlandesi. «Lì vanno pazzi per le crescentine. Alla prima tappa del festival, ad Helsinki, sono venute persone dalle altre città in anticipo solo per poterle assaggiare».

Andrea Liotta nel locale in via San Vitale (foto di Nicola Ialacqua)
Per l’imprenditore, la colpa della crescente chiusura di ristoranti in città non è da addossare agli affitti alti: «L’affitto pesa, certo, soprattutto in certe zone come nel Quadrilatero, dove i prezzi salgono fino e oltre i cinquemila euro al mese. Ma in un’attività sana dovrebbe essere soltanto il 4 o il 5 per cento degli incassi. Per noi, ad esempio, l’affitto conta poco nelle spese. L’unica difficoltà è stata trovare i locali nei luoghi che ci interessavano. Contano di più i costi del personale, che però sono una risorsa di cui non puoi fare a meno». Il vero problema starebbe, invece, nella sconsideratezza economica. «Bisogna calcolare il costo dei dipendenti, delle materie prime, dell’affitto e capire se si riesce a pareggiare. C’è chi vede un guadagno di 15mila euro al mese e pensa di essere ricco, ma non calcolando tutte queste spese finisce inevitabilmente per chiudere. È un lavoro così lontano da pentole e fornelli da essere spesso tralasciato, ma è centrale per la sopravvivenza della propria attività». Gli altri elementi imprescindibili per iniziare un’attività sarebbero originalità e qualità del prodotto, senza i quali «non ha senso neanche pensare di aprire un locale».
Secondo Liotta, Bologna è in una fase di riassestamento dopo il boom dei consumi post-covid. «Dal 2022 abbiamo tutti lavorato tanto, e siamo finiti dentro una bolla che, prima o poi, sarebbe dovuta scoppiare. Già dall’anno scorso i consumi sono calati. A questo bisogna aggiungere che lo Stato aveva previsto che le perdite legate alla zona rossa potevano essere spalmate fino al 2025, ma quest’anno in molti non sono riusciti a pareggiare i conti e hanno dovuto chiudere». Intanto la città sta evolvendo. Per il fondatore di Indegno, a crescere sono i format di piccole catene locali, come nel caso di Delizioso, ristorante di cucina libanese situato in via Petroni che ha di recente aperto una seconda sede in via de’ Castagnoli.
Liotta, infine, risponde duramente alla narrazione, iniziata con un articolo apparso l’anno scorso sul "New York Times", secondo cui Bologna abbia un surplus di locali. «Non credo che questa città sia un “mangificio di mortadella”. È una critica abbastanza sterile, Bologna ha tanti posti dove mangiare e bere perché attira turisti da tutto il mondo proprio per la sua cultura enogastronomica. Per forza di cose dove c’è turismo, e quindi tanta richiesta, c’è anche tanta offerta, come per Firenze».