L'intervista

Marco Bernardi (Foto di Andrea Scordino)
Qual è stata la sfida professionale più significativa della sua carriera?
«La più complessa è stata il 2022. Ad agosto, con la guerra russo-ucraina, il prezzo del gas, e a traino quello dell’energia elettrica, è aumentato improvvisamente di oltre dieci volte. E così la nostra richiesta di cassa. Abbiamo dovuto gestire due punti di fatica: il rapporto con gli istituti bancari e la mancanza della materia prima, cioè il gas russo».
Come avete affrontato questa situazione?
«Sono state necessarie capacità di adattamento, creatività, agilità e velocità nel prendere le decisioni. In un mercato fatto di colossi e, alle volte, di dinosauri, che hanno delle burocrazie inevitabilmente coerenti con le loro dimensioni, il nostro vantaggio competitivo in quanto family business è quello di avere una catena decisionale molto stretta».
Dove vi posizionate nel mercato?
«In Italia oggi ci sono circa 700 operatori. Però, le prime dieci aziende rappresentano più del 90% di tutto il comparto energetico. Noi siamo la settima sul mercato retail e le altre sono tutte multinazionali o multiutility. Ci sentiamo come Davide contro Golia, circondati da giganti che non abbiamo la presunzione di abbattere, ma con cui ci dobbiamo sicuramente confrontare».
Quali altri fattori hanno determinato il vostro successo?
«La propensione al rischio. Per innovare bisogna rischiare, ma ciò è possibile solo quando si è circondati da un ambiente che non demonizza l’errore. Nella nostra visione aziendale, occuparci di energia vuol dire accendere sia una lampadina che il cuore dell’uomo. Al centro del nostro modello di business c’è la valorizzazione delle relazioni fuori e dentro l’ufficio. Per questo mettiamo in campo per i nostri collaboratori molti strumenti di welfare».
Ad esempio?
«Per ottimizzare il tempo c’è la possibilità di farsi portare la spesa in azienda e di fare il tagliando e il cambio gomme durante l’orario di ufficio. Poi ci sono l'autolavaggio, il punto di ritiro dei pacchi Amazon, la lavanderia e la stireria. E forse siamo tra i pochi a offrire due settimane di campo estivo ai figli dei nostri collaboratori, che possono così vedere e conoscere il luogo in cui lavorano i propri genitori».
Qual è il profilo ideale e più richiesto per lavorare in Illumia?
«Nella nostra azienda siamo circa in 300 e l’età media è di 33 anni. Chi viene a lavorare con noi deve avere un’apertura mentale tale da stare davanti al mercato. Per esempio, Arera, l’autorità dell’energia cui siamo soggetti, emana circa 400 delibere all’anno. Potenzialmente una al giorno. Se la tua forma mentis è rigida, se quello che già sai credi sia abbastanza, con noi non puoi lavorare».
Chi ha scelto il nome “Illumia”?
«Io, anche se contro tutto e tutti (ride, ndr). L’agenzia ci aveva proposto quattro o cinque nomi, ma io, mio padre e i miei fratelli eravamo “cordialmente” in disaccordo. Alla fine hanno chiesto a me di decidere. Col senno di poi, “Illumia” è stata una buona scelta, anche perché la seconda classificata era “Enermama”. All’epoca avevamo una platea di clienti con un’età media tra 60 e 70 anni e volevamo creare qualcosa che parlasse a tutti, che fosse un po’ lo Zio Sam dell’energia».
Ha citato suo padre e i suoi fratelli. Cosa vuol dire gestire un’azienda a conduzione familiare?
«È un’avventura stimolante, anche se inevitabilmente faticosa, che scopriamo giorno per giorno. Avere punti di vista diversi può essere un blocco o un grande acceleratore, perché si mettono in campo capacità insolite per un contesto lavorativo, come la pazienza, la tenacia e il perdono. Nei rapporti tra collaboratori proviamo a replicare le dinamiche familiari, cioè creiamo, prima di tutto, un luogo dove esprimere la propria umanità. E questo penso contribuisca al nostro posizionamento».
Parliamo di lei. Che rapporto ha con Bologna?
«Sono orgogliosamente di Bologna, anche se i miei genitori sono marchigiani. È una città culturalmente vivace, ricca di arte, storia, musica e sport. Per questo, oltre che per ragioni affettive, abbiamo scelto di rimanere qui, nonostante Milano o Roma sarebbero forse state più strategiche. Certo, a volte anche la vivacità ha una deriva ideologica, ma la discussione è sempre uno stimolo positivo, che ti obbliga, innanzitutto, a verificare quello in cui credi».
Lei è da sempre un tifoso del Bologna Fc 1909, di cui Illumia è stata per sette anni sponsor. Cosa vede nel futuro dei rossoblù?
«Negli ultimi due anni sono successe cose molto grandi, per merito di una società molto seria e determinata. Quando abbiamo iniziato la sponsorizzazione con il nome sul retro della maglietta, cioè quando nel 2015 il Bologna andò in serie A, non ci aspettavamo questi risultati. Ma ovviamente ci speravamo. Ora comincia la fase di consolidamento. L’obiettivo è riuscire a stare in Europa al meglio possibile e magari ottenere qualche trofeo».
Perché la sponsorizzazione si è interrotta?
«Secondo uno studio di marketing, dopo cinque anni le sponsorizzazioni sulle maglie di calcio scompaiono, cioè si danno per scontate. Per noi ne erano già passati sette e serviva una novità».
Da qui l’accordo con il tennista Matteo Berrettini. Com’è nato?
«Nel 2022 Matteo Berrettini aveva un posizionamento simile al nostro: lui il numero sei al mondo, noi settimi in Italia. Era giovane, fresco, capace di testimoniare energia e con un orizzonte nazionale e internazionale. E poi abbiamo scoperto che dietro di lui c’è una famiglia solida e affettuosa, dotata di quella complicità che speriamo di portare all’interno dell’azienda. Così abbiamo coinvolto nel primo spot anche il fratello e i genitori».
A proposito di famiglia, ci parla della sua?
«Mia moglie è neonatologa e ho quattro figli. Mi sorprende e un po’ mi commuove vedere come tutti e quattro siano molto affezionati ai nostri lavori, nonostante ci tengano spesso lontano da loro. Spero che sia perché, seppur goffamente, cerchiamo di vivere in maniera unita la vita personale e quella professionale, puntando in entrambe alla felicità e a costruire qualcosa di bello».
Da chi ha imparato a vivere così?
«Dagli amici e dai miei genitori. Sono stati loro a formare il mio carattere: mia madre con la sua perseveranza e la sua presenza costante, mio padre con la sua propensione al rischio. E, tra gli altri, Enzo Piccinini, un mio caro amico chirurgo morto in un incidente stradale tanti anni fa, con l’idealità che metteva in tutto, dal lavoro all’amicizia, mostrandomi che la vita va spesa per qualcosa di grande».
Cosa significa per lei l’amicizia?
«È fondamentale, impedisce di cadere nell’individualismo e nell’autoreferenzialità. Gli amici veri ti fanno faticare, ma ti obbligano a essere sempre all’altezza dei tuoi desideri. Come insegna il libro Il cacciatore di aquiloni, vanno scelti con cura, poiché è “meglio essere feriti dalla verità, che consolati dalla menzogna”. Il tempo passato con loro è quello più stimolante e non va sacrificato, perché, a un certo punto, l’amicizia sente inevitabilmente il desiderio di fare qualcosa di bello insieme».
L’ultima cosa bella fatta con i suoi amici?
«Siamo saliti in 30 sul Monte Cusna, nel Reggiano, da dove si vede il Golfo di La Spezia. Spettacolare. Un’esperienza incredibile, che è un po’ la metafora della vita: scalare insieme verso una cima per vedere e scoprire qualcosa di più».
Un’iniziativa nata da un’amicizia è “Imprese Riuscite”. Ci racconta questo progetto?
«Il motore dell’iniziativa è stato Jacopo Malacarne, conosciuto quando eravamo sponsor del Bologna e lui rappresentava Faac. Volevamo creare un format che desse la possibilità alle aziende bolognesi di partecipare a tre incontri l’anno con personaggi esclusivi e interessanti. A beneficiare della quota di partecipazione sono quattro Onlus, perché uno dei nostri valori aziendali è la gratuità, cioè il mettere in campo qualcosa di più di quello che viene chiesto».
Una personalità con cui collaborate è Giacomo Poretti del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, di cui sponsorizzate il podcast “Poretcast”. Perché?
«Volevamo avere la possibilità di intervistare tante personalità del mondo dello spettacolo, tenendo una linea di condotta vicina alla nostra cultura aziendale. Abbiamo scelto Poretti perché la sua conduzione è sempre molto ironica, fresca, ma anche profonda. E poi lo conoscevamo già, lo avevamo chiamato a portare un po’ di vivacità alla conferenza stampa per la nascita di Illumia ormai 10 anni fa».
Anche lei ha avuto esperienze di conduzione a Radio Nettuno. Cosa faceva?
«All’inizio la trasmissione radiofonica “Per chi suona la campana”. Andava in onda durante l’intervallo e ogni puntata era su una scuola di Bologna. Sembrava una pazzia: eravamo due sbarbatelli di 17 anni e non sapevamo nulla di come funzionava un mixer (ride, ndr). Poi ottenemmo la vera trasmissione, cioè “La campana suona sempre due volte”, che era in diretta il venerdì sera dalle 22 a mezzanotte. Intervistavamo cantanti, sportivi… Una volta ci mandarono in stazione ad accogliere i Pooh. Due ragazzini circondati da una massa scatenata di signore un po’ attempate. Un’esperienza surreale».
Qualche aneddoto divertente sulla sua esperienza in radio?
«Una volta, in diretta con tutti i responsabili della radio presenti, mio padre mi fece uno scherzo telefonico, fingendosi il ministro della pubblica istruzione e parlando come se fosse circondato da grandi politici. Quando me ne accorsi, diversi minuti dopo, chiusi la chiamata allungando di soppiatto il mignolo sul telefono. Un’altra volta avevo la febbre alta, ma non rinunciai a trasmettere, e feci un sacco di errori tecnici, tra cui mandare in blackout la radio per tutta la notte. È stato uno dei periodi più belli e divertenti della mia vita».
Torniamo al presente. Cosa pensa di Trump?
«Penso che per quanto lo si possa trovare irriverente, irritante o disturbante, è uno dei pochi politici a essere coerente con quello che ha sempre detto che avrebbe fatto. Ha lanciato una nuova modalità comunicativa, che non è possibile giudicare con i vecchi criteri della comunicazione. Detto questo, non è l’immagine del mio politico ideale».
Come valuta invece l’operato del governo Meloni?
«Sulla parte energia direi luci e ombre. Il governo Meloni, assieme a quello precedente di Draghi, ha permesso nel 2022 la conclusione del percorso di liberalizzazione dell’energia iniziato nel 2002, vent’anni prima. Tra le ombre, un caso singolo recente, ma sintomatico di un grave problema della regolazione italiana, purtroppo bipartisan: la pessima abitudine di fare leggi retroattive, cioè di cambiare le regole del gioco quando il gioco è già in corso. L’incertezza normativa è il primo motivo dei mancati investimenti esteri in Italia».
Come giudica le politiche energetiche europee?
«Negli ultimi 10-15 anni l’UE ha agito in maniera alquanto miope, supportando una deriva green ideologica a scapito di un sano realismo. Ha giustamente incentivato le energie rinnovabili, ma distraendosi totalmente sul fatto che gran parte della generazione di energia elettrica in Europa oggi è legata al gas. Questo ha portato a un sostanziale disincentivo della ricerca di nuovi giacimenti e della costruzione di rigassificatori, sottovalutando la dipendenza dalla Russia. Anche per questo l’andamento dei prezzi dell’energia continua a essere schiavo delle dinamiche geopolitiche».
Come essere più competitivi?
«Creando un mix produttivo che sia sostenibile realisticamente. Il gas non è inquinante, non va demonizzato e manca ancora la tecnologia per poterlo eliminare, cioè le batterie. Quando non ci sono il sole o il vento non si produce energia e i sistemi di accumulo oggi non sono in grado di stoccare il necessario per soddisfare la domanda di energia europea. E poi c’è il nucleare, che abbassa i prezzi negli Stati che lo hanno, come Francia e Svizzera».
È favorevole al nucleare?
«Sì. Oggi in Italia tutti si lamentano del costo dell’energia più alto in Europa, ma il passaggio al nucleare comporterebbe in sicurezza l’abbassamento dei prezzi. In più, nelle bollette paghiamo lo smaltimento delle centrali del passato e gli incentivi per le energie rinnovabili. Il governo Meloni si sta posizionando in maniera molto coraggiosa a favore del nucleare, ma serve una forza politica che non sono convinto che questo o altri governi potranno avere».
Per finire, qual è la sua filosofia?
«Non seguo nessuna filosofia. Sono cattolico, penso che il buon Dio in tutte le circostanze ci metta nella possibilità di scoprire qualcosa, soprattutto in quelle faticose. Nella certezza che la realtà è positiva, affronto i problemi, il lavoro e i rapporti, cadendo e sbagliando come chiunque altro, ma consapevole di potermi rialzare, quasi sempre “tirato su” da un amico».