Crisi
L'agenzia di stampa fondata da Antonio Tatò nel 1987
«Siamo in tanti a non sapere più che fare. Alcuni chiedono prestiti, c’è chi ha contratto debiti, chi si sta facendo aiutare dai genitori per arrivare a fine mese». La situazione descritta da Andrea Sangermano, fiduciario della redazione bolognese dell’Agenzia Dire e membro del Comitato di redazione nazionale è al limite. Il 9 dicembre c’è stata un’altra giornata di sciopero dei giornalisti e grafici dell’agenzia di stampa fondata nel 1987. Il tema sono gli stipendi: le mensilità di gennaio e febbraio di quest’anno non sono state pagate, venendo saldate successivamente a rate, mentre da luglio le retribuzioni vengono erogate in tranche mensili del valore di circa un terzo dell’effettivo compenso. Le giornate in cui i dipendenti dell’agenzia avevano già incrociato le braccia, cinque a marzo, due a ottobre, e il tavolo sindacale del 4 dicembre non hanno risolto la questione o fornito garanzie per il futuro dei lavoratori e dei loro stipendi.
Il rapporto fra pubblica amministrazione, editore e lavoratori si sta configurando come un braccio di ferro fra i primi due, in cui i terzi vengono usati come posta in palio. I soldi alla Dire mancano per l'assenza della convenzione pubblica con Palazzo Chigi, che tutte le agenzie di stampa stringono dopo la riforma sul tema effettuata dal governo Renzi nel 2016. La convenzione al momento non è stipulabile, poiché a marzo sono stati scoperti debiti con l’agenzia delle entrate lasciati dal precedente proprietario. Per essere ripianati richiedono un piano di rientro, già presentato in udienza il 20 ottobre e che andrà omologato entro novanta giorni dal tribunale di Bari. Fino ad allora non sarà possibile avere la convenzione pubblica.
«Ci auguriamo che l’omologazione arrivi al più presto - spiega Sangermano - perché anche una volta ottenuta, prima che la convenzione entri in vigore e aiuti con gli stipendi passerà altro tempo e per come stanno le cose ora a primavera 2026 non ci arriviamo».
Il clima fra dipendenti ed editore non è disteso da anni. I problemi iniziarono nel 2021, quando il precedente proprietario, Federico Bianchi di Castelbianco, venne indagato e arrestato per corruzione in appalti del Ministero dell’Istruzione. Costretto a vendere le sue aziende, la Dire passò a Stefano Valore, l’attuale editore. Ci furono due anni di contratti di solidarietà, ammortizzatore sociale che riduce gli orari di lavoro e gli stipendi per evitare licenziamenti, conclusi per permettere la negoziazione di un nuovo accordo con Palazzo Chigi. Il processo a Bianchi di Castelbianco aveva infatti portato a fine 2023 al blocco delle commesse già esistenti del Ministero verso l’Agenzia, sei milioni di euro. Le trattative però si interruppero quando a fine dicembre l’agenzia licenziò 14 suoi dipendenti. «Licenziare mentre si stanno per ricevere soldi pubblici sollevò un polverone - racconta ancora Sangermano - ulteriormente alimentato da Valore che rispose alla scelta dell’amministrazione annunciando 17 sospensioni, come a dire: “Non finanziate? Devo lasciare gente a casa”». Il capitolo sospensioni è uno di quelli più neri della storia descritta da Sangermano. Durarono venti giorni, in cui i 17 della redazione romana continuarono a lavorare regolarmente prima di essere reintegrati, ma con quei venti giorni scomparsi dallo stipendio. «Usare la sospensione, che dovrebbe sussistere solo per motivi disciplinari, fu non solo fuorilegge, ma scorretto. Usare i contratti dei lavoratori come strumento di ricatto è inaccettabile», aggiunge. A luglio 2024 vennero poi licenziati altri sette grafici. Nel 2025 il problema è passato sugli stipendi. «Ci rendiamo conto delle difficoltà della proprietà, che dopo tutti i problemi precedenti ha scoperto di nuovi debiti quest’anno - conclude Sangermano - e sappiamo che sta mettendo soldi propri per tamponare la situazione in attesa dell’omologa e della convenzione, ma gli stipendi dei lavoratori non devono essere attaccati, così come i loro contratti».

Andrea Sangermano, giornalista e sindacalista Dire