immatricolazioni

Roberto Amici, professore di Fisiologia all'Università di Bologna (foto concessa dall'intervistato)

 

«Il semestre filtro è anticostituzionale, non si può impedire al docente di svolgere la sua attività in autonomia». È questo il giudizio di Roberto Amici, professore di Fisiologia all’Università di Bologna, sul nuovo meccanismo per l’ingresso alle facoltà di Medicina, Odontoiatria e Veterinaria introdotto dalla riforma Bernini il 9 maggio di quest’anno e partito ufficialmente a settembre.

 

Come valuta questo semestre filtro?
«Il giudizio è netto. È un’iniziativa sbagliata, che in molti abbiamo criticato fin dall’inizio e che ha portato un centinaio di docenti intaccati dalla riforma a presentare un ricorso al Tar. Innanzitutto perché viola l’autonomia della docenza: programmi ed esami non sono più stabiliti dal docente, ma direttamente dal Ministero. È un fatto mai accaduto nella storia dell’università italiana. Ed è anticostituzionale, perché la libertà di insegnamento è tutelata dalla Carta. E poi nella sostanza non cambia nulla, perché di fatto c’è sempre un test che è stato semplicemente spostato a dicembre».

 

Oltre ai docenti, chi viene danneggiato dalla riforma?
«Il nuovo meccanismo intacca soprattutto gli studenti che non riusciranno a entrare, che non potranno iscriversi ad altri corsi o potranno farlo con ritardi di sei mesi, magari in una sede diversa da quella in cui ha seguito il semestre filtro. È una penalizzazione enorme».

 

E chi invece passerà?
«Avrà comunque problemi. A Bologna, per esempio, il programma del secondo anno è stato stravolto; esami come Anatomia e Fisiologia, che prima erano distanziati di sei mesi, ora dovranno essere svolti in parallelo al secondo anno. Due esami fondamentali messi nello stesso semestre. Inoltre, gli studenti dovranno recuperare i crediti che nel semestre filtro sono stati ridotti».

 

Il primo appello ha registrato percentuali di idoneità molto basse. È una sorpresa?
«No. È anche la conseguenza di una premessa sbagliata. Il semestre filtro ha concentrato migliaia di studenti in due mesi di lezioni, quasi tutte online:  a Bologna si parla di più del 90% delle ore. Un docente per tremila studenti, tre materie scientifiche complesse e tre esami lo stesso giorno, cosa che penso nessuno studente abbia mai dovuto sostenere. È possibile che i numeri migliorino col secondo appello. Per questo è giusto aspettare prima di trarre conclusioni definitive. Ma rimane un impianto concettualmente sbagliato, che non si corregge con qualche giorno in più di studio».

 

L’università sarebbe in grado di sostenere più immatricolazioni?
«No, ma il problema non sussiste. Il numero programmato è rimasto, anche se aumentato di qualche unità nelle diverse sedi».

 

E allora come si risolve la carenza di medici?
«Non certo con un espediente come questo. Il problema è che per formare nuovi medici abbiamo bisogno di migliorare le infrastrutture già presenti. Aule, docenti, tirocini: tutto è già saturo. Servono investimenti seri: più docenti, più reparti disponibili per i tirocini, più aule. E poi bisognava intervenire non sul test, ma sulla preparazione nell’affrontarlo. La Conferenza dei Rettori aveva già pensato alla realizzazione di corsi di formazione per prepararsi all’esame, per dare la possibilità a tutti gli studenti di partecipare al test con gli stessi livelli di conoscenza. Se servono più medici, bisogna metterli nelle condizioni di formarsi, non fingere che un corso di due mesi online sia il primo semestre di università».