Il film

Daniel Day Lewis e il figlio Ronan sul set di "Anemone" (Foto Ansa)

 

L’anemone è un fiore urticante e fragile, il cui nome deriva dal greco ànemos, vento, ed è divenuto nei secoli simbolo di infermità e di morte. Le caratteristiche e l’iconologia di questa pianta sono la chiave interpretativa per comprendere l’opera prima di Ronan Day-Lewis, figlio dell’acclamato Daniel Day Lewis, che torna a recitare dopo otto anni. Torna spalleggiato da Sean Bean, Boromir de "Il Signore degli Anelli", che interpreta Jem Stoker, un veterano in pensione che lascia la moglie e il figlio per andare a consegnare una lettera a suo fratello, Ray (D.D. Lewis), isolatosi da vent’anni in un casolare in mezzo al bosco. Quello che si dipana per due ore e dieci è un lento ritratto di un dramma familiare fatto di rimorsi e traumi passati che riecheggiano ancora oggi nel sangue degli Stoker. La pellicola di Lewis junior è grezza; la sceneggiatura, firmata da padre e figlio, è acerba, e la regia, che tenta di essere pittorica, scade in un simbolismo troppo didascalico. Il film è trainato dall’immensità dei due attori protagonisti, in particolare di Lewis senior. Come gli anemoni che si ostina a coltivare, il personaggio che interpreta è un uomo respingente che nasconde una fragilità nata dalla morte, da una macchia indelebile nel suo passato. Ray è un uomo spigoloso, aggressivo, la cui violenza e il cui sudiciume ricordano il Daniel Plainview de "Il Petroliere", e Lewis mostra le sue sfaccettature attraverso ogni dettaglio del viso, dalle vene che si gonfiano agli occhi che si tingono di tormento. Nonostante il deludente contesto, non si può che essere felici del ritorno in scena di uno dei più grandi attori viventi.

 

L'articolo è stato pubblicato nel n.8 del Quindici del 27 novembre