storia

                Corteo di protesta dopo la morte di Francesco Lorusso, ucciso durante i disordini del marzo 1977 (foto Ansa)

 

Le proteste studentesche del mese scorso a sostegno della Global Sumud Flotilla a Bologna sono uno spettacolo familiare. Le vie del centro hanno visto sfilare il ‘68, il ‘77, tutte le manifestazioni del 2008, con copioni molto simili: cortei, scontri con le forze dell’ordine, occupazioni, barricate. Raramente si era vista una protesta identitaria così forte per qualcosa di così distante e poco influente sulla vita accademica di uno studente bolognese.

Ma consultando gli archivi si scopre che ribellioni e lotte hanno sempre fatto parte della vita studentesca bolognese, già dai primi decenni dalla fondazione dello studium nel 1088; d’altra parte l’Alma Mater la fondarono gli studenti, la scuola nacque proprio dalla libera volontà di alcuni di imparare studiando sotto i dotti Pepo e Irnerio. I motivi per protestare e le caratteristiche delle manifestazioni cambiano di epoca in epoca. Una delle primissime di cui si hanno fonti fu lo “sciopero” per Iacopo da Valente. Nel 1321 questo studente si innamorò della figlia di Giovanni d’Andrea, gran dottore di diritto, e fuggì con lei. Vennero però catturati e per salvare l’onore della famiglia di lei, Iacopo fu giustiziato. Gli studenti bolognesi, per protestare contro l’uccisione del loro collega, abbandonarono le aule, migrando a Siena, seguiti anche da alcuni insegnanti.

L’amministrazione bolognese era consapevole di quanto fossero importanti gli studenti per l’economia cittadina e aveva fatto molto per legare lo studium alla città. Già dal 1250 gli statuti comunali stabilivano che gli studenti fossero da considerare come cittadini, ma solo nei diritti e non nei doveri. Dunque agevolazioni per gli alloggi, tutela giuridica, vantaggi con i mercanti e al contempo esenzione dal servizio militare e dalle tasse, pur di tenerli a Bologna. La migrazione a Siena era perciò un fatto grave, che si risolse solo dopo un anno di mediazioni del podestà e l’elezione di nuovi rettori. In altri casi la rivolta era semplice indisciplina, come nella Bologna cinquecentesca controllata dallo Stato della Chiesa in piena Controriforma cattolica. La maggior parte degli studenti girava armata e risse o duelli mortali per dimostrare che la propria nazione era la migliore o per semplice spacconeria erano all’ordine del giorno. Il tribunale del Torrone, nella torre del palazzo comunale che ancora oggi sorge all’angolo tra via Ugo Bassi e via Giacomo Venezian, tentava di tenere l’ordine, da un lato pubblicando manuali per il perfetto studente devoto, i Modi studendi, dall’altro condannando i colpevoli a confische, esili o morte. Morì dentro il Torrone alcuni secoli dopo anche lo studente Luigi Zamboni, antenato dell’Anteo che nel 1926 avrebbe tentato di assassinare Mussolini. La sua protesta tra il 13 e il 14 settembre 1794 fu un vero e proprio tentativo di insurrezione per cacciare il governo papale dalla città, condotto insieme a Giovanni Battista De Rolandis, possibile padre del Tricolore, e altri studenti, e considerato uno dei primi gesti ideologicamente ascrivibili al Risorgimento. Arrestato e rinchiuso nel Torrone, Zamboni fu trovato impiccato nella sua cella nell’agosto del 1795.

Nell’Italia unita di fine ‘800 le manifestazioni studentesche invece iniziano a assumere alcuni dei tratti tipici delle proteste odierne. Nasce l’opinione pubblica, si diffonde la stampa, i cittadini formano una loro opinione politica e l’orizzonte si allarga ai fatti che avvengono anche oltre i confini bolognesi. Il 10 marzo 1885 studenti repubblicani vennero arrestati a Torino mentre commemoravano Mazzini. Per solidarietà il 16 marzo a Bologna venne occupata l’aula magna della biblioteca e issata a mezz’asta la bandiera universitaria. Seguirono giorni di dibattiti nelle aule occupate, cui partecipò anche Giosuè Carducci da professore, finché il 19 marzo il ministro non ordinò la chiusura dell’università per riportare ordine. Il clima antimonarchico a Bologna era forte, il 28 aprile 1890 si tenne un’adunanza nel cortile della facoltà di veterinaria, dove si decise che gli studenti avrebbero festeggiato il primo maggio insieme ai lavoratori. Il questore negò il permesso, ma la manifestazione si tenne comunque fra atti di vandalismo contro i negozi e cariche di militari e agenti in piazza Maggiore. L’anno successivo fu lo stesso Carducci a subire le critiche dei suoi studenti. Non gli perdonarono di essere andato con il Primo Ministro Crispi a inaugurare la bandiera del circolo degli studenti monarchici, accogliendolo in duecento nella sua aula in via Zamboni con un concerto di fischi e insulti. Lo scandalo portò a indagini e all’arresto di un solo studente, Salaroli, anch’egli presto rilasciato. Esiste ancora una sua lettera mandata dal carcere in cui chiede di poter sostenere gli esami. Fu lo stesso Carducci a coprire i suoi studenti e non fare nomi, concentrandosi invece, in una lettera al Corriere dell’Emilia, su come si fosse alzato in piedi sulla cattedra, sigaro in bocca, per esporsi ancora meglio al ludibrio della folla, fermo nelle sue convinzioni. La scena divenne anche una vignetta satirica, forma di contestazione culturale che si affiancò alle proteste di piazza.

 

La vignetta sbeffeggiante Carducci (foto di Michelangelo Ballardini)

 

È il caso di un foglietto scritto a mano, probabilmente appeso in qualche bacheca da un neutralista, che nel 1912 auspicava una pace duratura fra Italia e Austria. Uno studente interventista lo corresse in rosso, come se fosse stato un esame universitario, con tanto di giudizio: “Rivedibile la grammatica e pure le idee”.

Dopo le due guerre mondiali si inizia a entrare in un mondo che si globalizza sempre di più, nascono la Nato, la Comunità europea e le proteste, che ora rivendicano diritti, sfondano i confini nazionali, come nel 1968. Bologna visse forti le agitazioni dei suoi studenti contro programmi di studio rigidi e poco aggiornati e la mancanza di aule e strutture in generale. La maggior parte delle facoltà vennero occupate e persino i docenti precari scesero in protesta contro il Comune e l’Università. Il 20 giugno fu occupata anche la camiceria Pancaldi, dove gli studenti di medicina portarono avanti un’inchiesta sulle condizioni di lavoro usuranti cui erano sottoposte le operaie; il frutto di quel seme che fu il primo maggio di studenti e proletari nel 1890. Dinanzi alla mole della mobilitazione e agli oggettivi problemi che Unibo faticava a risolvere, il rettore Felice Battaglia si dimise, ma anche sotto i suoi successori la situazione non cambiò sensibilmente. A conti fatti il ‘68 universitario bolognese non portò a risultati paragonabili alla forza e alla grandezza della protesta. Anche per questo nel 1977 le mobilitazioni tornarono, ancora più intransigenti di prima. Gli studenti del ‘77 erano più disillusi e arrabbiati; erano i giovani delle radio libere, delle autoriduzioni su bollette e biglietti (la pratica di pagare meno del richiesto), della protesta contro il compromesso storico di Berlinguer. A Bologna l’11 marzo morì lo studente Pier Francesco Lorusso, colpito alle spalle dallo sparo di un militare in via Mascarella in mezzo a cariche, lacrimogeni e lancio di molotov. La rabbia per la morte di Lorusso fece sprofondare la città nella guerriglia urbana per due giorni, finché il ministro dell’interno Cossiga non inviò mezzi blindati in via Zamboni per forzare le barricate e liberare le facoltà occupate. A fine secolo e all’inizio del nuovo millennio i grandi movimenti di massa lasciarono spazio a mobilitazioni su singoli temi. A partire da Palermo tra l’89 e il ’90 manifestarono contro la riforma Ruberti e il progetto di privatizzare le università gli studenti della Pantera. Il 27 dicembre era stata avvistata una pantera per strada a Roma, che non era stata però mai trovata. Da qui il nome del movimento e lo slogan “Noi siamo la pantera”. Nello stesso mese a Bologna erano cominciate le manifestazioni contro il nono centenario di Unibo e l’ufficio che doveva gestirne l’organizzazione fu occupato dal gennaio all’aprile del 1990. Si trattò comunque di un movimento molto più pacifico dei precedenti: nelle facoltà autogestite si tenevano seminari, assemblee, si leggevano i giornali, venivano organizzati corsi autoprodotti in collaborazione con i docenti. La Pantera esaurì la sua forza quando raggiunse il suo scopo. Ruberti stesso annunciò a febbraio modifiche alla sua legge per venire incontro alle richieste degli studenti, portando alla smobilitazione.

Nel 2008 alla riforma della ministra Gelmini risposero invece le piazze de L’Onda, occupando la stazione, facendo irruzione nella sede di Unicredit e tentando di interrompere un convegno in cui era presente il ministro dell’Interno Maroni. Fu poi lo stesso anno in cui si innescò la crisi finanziaria globale, che portò all’austerità e a processi di revisione della spesa pubblica. Nel 2011 a Bologna sfilava in processione a capo delle proteste la statua di Santa Insolvenza, la protettrice di tutti i precari che avrebbero perso il lavoro per la crisi. Anche Unibo fece tagli ai propri servizi e nel novembre 2012 studenti del collettivo Cua interruppero un consiglio di rettorato cercando di far indossare al rettore un cartello con scritto “Ivano Dionigi non vuole mettere i soldi”. Nascono in quegli anni anche gruppi che sembrano avere nella protesta la propria raison d’etre, come il collettivo Hobo che in otto anni di vita ha contestato tutto e tutti, Dionigi, Ubertini, Merola, Salvini, Renzi, Minniti, la Lega, il Pd, Repubblica, o gli irriducibili anarchici dell’Aula C di Scienze politiche, che l’hanno occupata per vent’anni prima dello sgombero nel 2015. Per Gaza i metodi di protesta e il clima di mobilitazione permanente sono stati molto simili, neppure il cessate il fuoco del 10 ottobre ha fermato occupazioni e boicottaggi. La grande distanza fisica dagli eventi non scalfisce la vicinanza emotiva, in una lotta che per molti giovani è identitaria e mescolata inestricabilmente a una più generale contestazione del governo italiano e dell’amministrazione universitaria.

L'articolo è stato pubblicato nel n.7 del "Quindici"