L'intervista

Il senatore Pier Ferdinando Casini, tifosissimo del Bologna Fc (foto Ansa)

 

Pier Ferdinando Casini, classe 1955, bolognese doc e senatore. Una vita intera in politica, spesa tra i due rami del Parlamento, e questo fin dal 1983, primato tutt’oggi imbattuto. Della Camera ne è stato anche il presidente, oltre che figura di spicco prima della Democrazia Cristiana e poi del partito Unione di Centro (UdC). Una figura centrista dunque, moderata e in grado di dialogare con diverse coalizioni, con uno sguardo lucido e disincantato sia sugli eventi riguardanti la politica nazionale sia su ciò che sta avvenendo a livello internazionale, in Europa come nel resto del mondo. Ha risposto a InCronac@ nell'imminenza della presentazione, domani in Salaborsa, del suo ultimo libro, "Al centro dell'aula", sulla sua lunga carriera politica. 

 

Partiamo da Bologna. Ritiene che le liste civiche, con l’appoggio del centrodestra, riusciranno a prevalere alle comunali del 2027?

«Che ci siano persone che si vogliono candidare, mi vien da dire che “è la politica, bellezza”. Credo davvero sia positivo il fatto che ci sono persone, come Alberto Forchielli o Elena Ugolini o altri, che hanno deciso di entrare in politica, soprattutto se hanno fatto bene nella loro vita lavorativa. Il sindaco dovrebbe sollecitare la gente a fare questa scelta, perché così vuol dire cercare di vincere la sfida peggiore, la più pericolosa, cioè quella dell’astensionismo. Poi, che riescano a vincere, francamente penso di no, ma la politica è sempre imprevedibile, nessuno può sottovalutare gli avversari».

Cosa ne pensa del sindaco Matteo Lepore?

«Lepore riesce a proiettare di sé un’immagine molto peggiore di quello che è in realtà. È un sindaco serio, conosce il suo lavoro e ha passione. In un mondo di piacioni, lui non è un piacione, non trasmette quella simpatia di cui avrebbe diritto. Io avevo grande antipatia per lui, però da quando l’ho conosciuto bene ho cambiato radicalmente la mia idea. È un ottimo ragazzo e un ottimo amministratore».

Passiamo alla politica nazionale di oggi. Elly Schlein sarà in grado di realizzare e guidare il famoso “campo largo” contro il governo alle prossime elezioni?

«In politica la mia esperienza mi ha dimostrato che le eredità si rubano, non si ricevono. Nessuno ti apre la strada, te la devi aprire da solo. E devo dire che io trovo sia nell’esperienza di Giorgia Meloni che in quella di Elly Schlein un certo parallelismo: nessuna delle due ha ricevuto eredità. La Meloni è una politica pura, la Schlein invece è un’outsider; molti tendono a sottovalutarla e secondo me sbagliano. "Non l’ha vista arrivare nessuno", eppure ha vinto le Primarie e poi è riuscita a mettere insieme una coalizione dove ci sono pure Matteo Renzi e Giuseppe Conte. E adesso ha delle ambizioni, come è giusto che sia nella vita politica, altrimenti sei destinato alla testimonianza. Se si muove correttamente, come ritengo stia facendo, perché no? La politica, come ho detto prima, è una cosa imprevedibile, ma a chi la ama dà possibilità inaspettate».

Farebbe bene ad andare ad Atreju su invito di Meloni?

«Schlein su questo ha risposto in maniera intelligente, ha detto che è disposta ad andare se fa il confronto con la presidente del Consiglio. D’altronde, è ovvio che se ci si vuole proporre come leader di un’area si deve cercare il confronto con quello dell’area opposta».

Invece il centro che ha in mente Renzi assieme alla sinistra può stare in piedi?

«Per i guai che hanno fatto, lui e Carlo Calenda, è chiaro che hanno bisogno di avere rapporti esterni, non sono autosufficienti. Ma certamente, a mio parere, anche con quello che si sta muovendo, da Vincenzo Spadafora a Giuseppe Sala, per fare dei nomi, c’è lo spazio per creare un’area importante per il centrosinistra, un’area di convincimento fatta di queste realtà più liberali, più moderate».

Il suo giudizio invece sull’Ucraina e la proposta di pace di Donald Trump?

«L’Ucraina non si vende, si difende. Se non vogliamo, come europei, lasciare ai nostri figli un mondo in cui siamo subalterni e sudditi degli altri, dobbiamo difenderla. Non c’è altro da dire».

Domani in Salaborsa presenterà il suo ultimo libro. Cosa si prova a fare i conti con un passato così ricco di sfide e avvenimenti? 
«Devo dire questo: io provo molta gratitudine per Bologna, perché mi ha mandato in Parlamento per più di 40 anni. Mentre i professori vanno in cattedra e ci rimangono, noi abbiamo gli esami di maturità ogni cinque anni, e spesso ci sono state tante elezioni anticipate, per cui ogni volta che sono diventato parlamentare mai avrei pensato di rimanerci per così tanto tempo. Ho avuto una certa resistenza, ma la resistenza maggiore l’hanno avuta gli elettori che mi hanno scelto. Perciò sono molto grato a loro e mi identifico totalmente in questa città, con chi mi ha votato e chi no».