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Una delle mobilitazioni Fiom (foto Ansa)

 

Le crisi aziendali, seppur con modalità e tempi diversi, colpiscono tutta l’Emilia-Romagna. È il caso della Kv di Ravenna, un'azienda che fa macchine agricole, più specificatamente macchine per le rotoballe. «Il problema – sostiene il segretario regionale Fiom, Giovanni Cotugno – è nella diminuzione della domanda del mercato unito a qualche elemento di cattiva gestione. L’azienda conta 220 dipendenti e c'è un utilizzo significativo degli ammortizzatori sociali. È una condizione di crisi “standard”». A Ravenna ci sono la Borgwarner (70 dipendenti) e la Lafert (30 dipendenti). La Borgwarner è nel campo dei prodotti legati all'elettrificazione, producono principalmente caricabatterie per mezzi industriali. «Lì lo strumento della solidarietà è ancora molto utilizzato e sono alla ricerca di un compratore in grado di rilanciare l’azienda». La Lafert, che produce motori elettrici, «ha comunicato un piano di riorganizzazione delle produzioni con un forte rischio di perdita occupazionale e di tenuta stessa dello stabilimento». Poi c’è la Metasystem che, con 400 dipendenti, è o era un fiore all’occhiello del Reggiano nella produzione di componenti elettronici per automobili.

Ora, come aggiunge Cotugno, «l’azienda è in fase di acquisizione e un nuovo piano industriale è in bozza. Per il momento però, l’80 per cento dei lavoratori dei reparti produttivi è a casa in solidarietà».

In crisi anche Bipres - 70 dipendenti, situata sull’appennino romagnolo - e Sacim nel cesenate che ne conta 120. Per quest’ultima, dice Giovanni Cotugno: «Dovrebbe esserci lo spazio per un'acquisizione e un rilancio. Uso il condizionale in quanto sulle prospettive non c'è certezza».

Per Modena non si può non parlare di Maserati (750 dipendenti). «L’azienda risente del fatto che servono nuovi modelli. Se non ne saranno progettati e prodotti, l’azienda potrebbe non sopravvivere». La Berco di Ferrara è il caso più critico perché i primi terremoti risalgono alla casa madre tedesca. La Berco, e i suoi 1.200 dipendenti, producono i cingoli per i veicoli da miniera e il problema principale è «la diminuzione di ordini a livello globale dovuto alla competizione sul mercato. L’azienda – spiega Cotugno – sta cercando di ridurre i costi ma, ad oggi, non ci sono particolari sviluppi».

Lo stesso destino sta toccando, seppur in scala ridotta, alla Tracmec di Imola, dove la proprietà tedesca ha deciso di chiudere lo stabilimento e licenziare i 45 dipendenti per demoralizzare la produzione in Cina.