Oriente
La sezione della mostra dedicata alla continuità fra stile giapponese e pubblicità italiane di inizio '900
Perché la produzione culturale giapponese colpisce così profondamente l’Occidente da riempire le librerie, i cinema, i locali di fumetti, libri, film e cibi? La risposta la cerca Rossella Menegazzo, curatrice della mostra Graphic Japan, visitabile dal 20 novembre al 6 aprile dell’anno prossimo al Museo civico archeologico di via dell’Archiginnasio 2. «Graphic Japan riprende dal punto in cui si era fermata la precedente mostra del 2018, dedicata ai grandi maestri del disegno paesaggistico e naturale del periodo Edo (dal 1603 al 1868 ndr). Attraverso le quattro aree tematiche dell’esposizione è possibile vedere come quello stile e quei soggetti siano stati alla base dei successivi periodi dell’arte giapponese, rielaborati e reinventati in chiave moderna e industriale».
Attraverso le oltre 250 opere esposte si viaggia, infatti, tra quattrocento anni di elaborazione artistica giapponese. Il punto di partenza sono le stampe silografiche Edo, raffiguranti animali, piante, fiumi, mari, la luna, il celebre Monte Fuji. La cultura nipponica è fortemente legata alla religione shintoista, popolata di divinità e spiriti che abitano ogni oggetto ed elemento naturale. L’industrializzazione e l’apertura all’Occidente del successivo periodo Meiji (dal 1868 al 1912) non fecero sparire l’arte Edo, ma la reinterpretarono all’interno di prodotti di consumo e fabbricati in serie, come gli abiti, i ventagli o i vasi decorativi. Infine si passa al Secondo dopoguerra e alla contemporaneità, fra manifesti e locandine dai colori saturi che rimangono fedeli agli elementi raffigurati in precedenza e fumetti popolari di azione e avventura. Non manca ovviamente l’influenza della fotografia e dei programmi grafici sui computer. «Il passato è riportato al presente attraverso la tecnica», riassume bene la curatrice.
Un'aquila in una stampa di epoca Edo e in un manifesto degli anni '70
I quattro argomenti su cui si concentra l’esposizione sono natura, volti e maschere, calligrafia e tipografia, giapponismo contemporaneo. La continuità stilistica fra aree tematiche ed epoche fa sì che le stanze della mostra scorrano senza soluzione di continuità, anche nell’ultima parte dedicata ai cartelloni pubblicitari italiani di fine ‘900. Erano anni in cui nella nostra penisola si viveva un forte giapponismo e le composizioni e i colori delle réclame richiamavano chiaramente quelli prodotti in Estremo oriente. «Siamo due paesi lontani e molto diversi – aggiunge l’assessore alla cultura del Comune di Bologna, Daniele Del Pozzo – ma accomunati da simili sensibilità per l’arte e per il bello. E la mostra ospita una bellezza disarmante; il segno giapponese è fatto sia di gesto spirituale che di disciplina estetica, di pieno e di vuoto in armonia». Gli fa eco anche Kobayashi Toshiaki, il console generale del Giappone a Milano, che ricorda come il padiglione italiano al recente expo di Osaka sia stato tra i più visitati, come lo fu quello giapponese all’esposizione universale milanese del 2015. «Viviamo un momento importante delle relazioni diplomatiche italo-giapponesi, che nel 2026 festeggeranno 160 anni di vita» ha aggiunto. «Quando si parla di Italia e Giappone si parla di due superpotenze culturali – spiega Tomaso Radaelli, il presidente della società organizzatrice MondoMostre – e la cultura è soft power, è capacità di essere attrattivi verso l’esterno. I nostri paesi su questo sono assolutamente simili».

Una vetrina della mostra con alcuni dei manga, i fumetti giapponesi, più celebri degli anni '70 - '80