intervista

Isabella Conti (foto di Federica Cecchi)
Come è stata la sua esperienza da sindaca di San Lazzaro di Savena?
«È stato per me un grande acceleratore di vita. Fare il sindaco è lavorare in contemporanea su due binari, da una parte la dittatura del quotidiano, con tutta la vita che viene a bussare alla porta, si genera una connessione potentissima e una prossimità ai problemi. Dall’altra la necessità impellente di programmare il futuro, di proiettare le idee oltre la singolarità spaziotemporale».
In cosa cambia l’esperienza di assessorato in Regione?
«È una nuova sfida: operare una programmazione di alto livello, consapevoli del fatto che le azioni di bilancio non ricadono immediatamente nella vita delle persone e questo permette un salto di qualità». Una volta ha detto che “I Miserabili” di Victor Hugo è il suo libro preferito, è ancora così? «Sì, lo considero ancora un libro delicato e potente, il cui elemento cardine è la redenzione. La pietas subentra quando si attiva un meccanismo di bene verso il prossimo, un meccanismo di umanità che credo fortemente serva anche in politica. Anche per questo ho scelto, una volta insediata, come prima uscita di andare al carcere della Dozza e al Pratello».
Una volta ha detto che “I Miserabili” di Victor Hugo è il suo libro preferito, è ancora così?
«Sì, lo considero ancora un libro delicato e potente, il cui elemento cardine è la redenzione. La pietas subentra quando si attiva un meccanismo di bene verso il prossimo, un meccanismo di umanità che credo fortemente serva anche in politica. Anche per questo ho scelto, una volta insediata, come prima uscita di andare al carcere della Dozza e al Pratello».
Perché questo grande interesse per le carceri?
«Un po' per la mia formazione da avvocata in diritto penale. Inoltre, troppo a lungo abbiamo messo da parte un pezzo della nostra cittadinanza, coloro che vivono ai margini e che nascondiamo sotto il tappeto. Persone che vivono una situazione di grande prostrazione psicofisica. In merito a ciò abbiamo portato in giunta già 4.200.000 euro di progetti per il carcere, per una giustizia più inclusiva».
Ha poi maturato nuovi modelli umani e politici in questi anni?
«Mi sono avvicinata a Pasolini, trovo la sua scrittura attuale e potentissima, l’immagine che ci restituisce della società non si discosta di molto da quella odierna. Altri due libri di grande ispirazione sono stati “Iperconnessi” di J. M. Twenge e “L’attenzione rubata” di J. Hari, trattano dell’impatto che i dispositivi digitali, in particolare smartphone e tablet, hanno sui più piccoli»
A proposito, si è detta contraria all’uso dei cellulari da parte dei bambini, quali sono le ragioni principali?
«I dati di neuropsichiatria infantile dimostrano che c’è stato un incremento di accessi da 30mila a 68mila dal 2010 al 2024 su una popolazione giovanile di 68mila, il che sta a indicare che il 10% degli under 18 ha avuto almeno un accesso. Non si può parlare di diretta causa, ma di correlazione tra l’uso dei dispositivi digitali da parte di giovanissimi e stato di depressione, stati d’ansia, ludopatia online, problemi alimentari».
Cosa potrebbe fare la Regione per risolvere il problema?
«Il nostro scopo è creare una società consapevole del rischio. Faremo una formazione di tutti i pediatri emilianoromagnoli sui rischi del digitale in modo tale che a loro volta possano divulgare le informazioni alle famiglie. Lavoreremo con l’ufficio scolastico affinchè a scuola gli smartphone non si portino, cosicchè anche durante l’intervallo i ragazzi si concentrino nelle relazioni umane».
E lei da mamma che scelte prenderà per suo figlio?
«Ho deciso di vietargli l’uso dello smartphone fino a 14 anni. Tra l’altro ci sono già delle leggi che appoggiano questa scelta, per esempio una persona non potrebbe accedere alla rete sotto i 13 anni. Ma non credo che questa mia scelta personale si possa applicare a livello collettivo, per il rischio di un effetto boomerang».
Lei è favorevole all’uso dello spid per accedere ai social?
«Sono estremamente favorevole a limitare o proibire l’uso dei dispositivi digitali per alcune fasce di età. Altrimenti ci ritroviamo bambini di nove, dieci anni con profili social che rischiano di entrare in contatto con mondi potenzialmente pericolosi».
Come affrontare il tema dei siti di pornografia?
«Ho proposto di accedere con la carta di credito perché ovviamente è necessario verificare l’età degli utenti. I ragazzi che fanno abuso di questi contenuti in giovane età non vedono più le coetanee con gli stessi occhi e progressivamente scindono il sesso dall’affettività. Si è riscontrata una progressiva escalation di violenza sulle donne in situazioni ambientali e sociali degradate e degradanti».
Come si potrebbe agire per limitarne l’uso?
«La pornografia online ha tre elementi che facilitano la dipendenza: l’anonimato, la gratuità e l’accessibilità facile. È necessario lavorare sui secondi due elementi. Io proposi nel 2024 di tassare le big tech, in tutti i Paesi in cui quelle applicazioni vengono scaricate, perché per noi sono già un costo sanitario».
In che senso?
«Penso a una bambina di nove anni ricoverata a Modena alcune settimane fa con un sondino naso-gastrico per anoressia nervosa perché vedeva video su TikTok che la facevano sentire inadeguata. I dati ci indicano un più 400% dei disturbi del comportamento alimentare tra gli under 18. Casi di suicidio, gli accessi in neuropsichiatria infantile e l’aumento dei disturbi d’ansia under 15 sono un costo sanitario».
Come gestisce l’equilibrio tra la sua vita privata e la sua vita pubblica?
«La mia vita è sempre stata assorbita moltissimo dalla mia attività, che per me è una missione e una grande passione. Prima che nascesse mio figlio non mettevo limiti al mio lavoro. Non esistevano vacanze, non staccavo mai completamente perché mi piaceva il mio lavoro, il che è una fortuna, ma anche una maledizione. Ora mi sono data delle regole, sto con mio figlio la mattina e dopo le sei torno a casa, ma continuo a lavorare dopo che lui è andato a letto».
Qual è il suo rapporto con il presidente Michele De Pascale?
«Ottimo, ci lega l’esperienza da sindaci e l’età, anche se lui è di tre anni più giovane. Questi due aspetti ci danno grandi punti di coesione, entrambi sentiamo l’esigenza di mettere a terra le cose e di fare in modo che i risultati si vedano. Inoltre, entrambi abbiamo il coraggio di prendere decisioni difficili e di innovare la nostra generazione. Di lui apprezzo il pragmatismo e il coraggio».
Però, secondo alcuni, da sindaco è stato un cementificatore, mentre lei ha bloccato la cosiddetta Colata di Idice.
«Non l’ho conosciuto da sindaco, lo vedo e lo vivo da presidente di Regione e devo dire che ha una posizione molto equilibrata. È chiaro che da presidente ha il compito di armonizzare la complessità di tutte le istanze e le esigenze degli stakeholders. Sulla cementificazione gli dissi che avevo una sensibilità molto marcata per cui volevo portare avanti una battaglia forte, lui ha risposto che in una squadra ci sono tante sensibilità e di procedere e che lui avrebbe armonizzato le varie posizioni».
Ci ricorda perché lasciò il Pd per Italia Viva?
«Lasciai il Pd perché i temi ambientali, a me cari, non erano all’ordine del giorno. Feci una battaglia agguerrita contro la cementificazione, si crearono spaccature nel mio partito, ero sola con battaglie giudiziarie enormi che chiedevano un risarcimento al mio comune per 47 milioni. Mi chiamò Renzi, all’epoca segretario Pd e presidente del Consiglio, e quando fondò Italia Viva lo seguii».
Perché poi è rientrata nei dem?
«Perché, quando ho visto che Renzi era molto ondivago su una collocazione non definita del centrosinistra, che parlava con altri mondi, ho capito che non era più il posto giusto per me. Nel frattempo, il Pd era cambiato molto, era il momento giusto per “tornare a casa”. Del resto, mi mancava la mia comunità politica, con tutti i suoi pregi e difetti».
E come lo vede il Pd oggi?
«Ha la grande responsabilità di parlare a tutti, non solo ai nostri. Credo che stia riuscendo in questa operazione, cerca di proporre obiettivi comuni come le politiche per il lavoro e il tema del salario minimo. Mi piacerebbe anche che si trattassero altri temi come l’impatto dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro».
Quali soluzioni propone per impedire che l’Ia infici la vita dei lavoratori?
«Dobbiamo iniziare a pensare di tassare la robotica, ci serve per generare il gettito che dia sostentamento a quelli che domani non lavoreranno più. L’Ia nel 2027 supererà l’intelligenza umana, oggi è in grado di fare molto del lavoro degli operai e il mondo del sindacato e del centrosinistra deve domandarsi come si vuole posizionare per tutelare i lavoratori».
E cosa pensa di Elly Schlein, sarà in grado di portare avanti questi nuovi temi?
«È una segretaria giovane che sta facendo molta fatica, che ha però provato a ricollegare un pezzo sentimentale del partito. Ha tutte le carte in regola per riuscirci».
Lei ha sfidato nel 2021 l’attuale sindaco di Bologna Matteo Lepore alle primarie, che opinione ha di lui oggi?
«È uno dei pochi con capacità di elaborazione politica profonda. Avrà sicuramente tutte le sue sfumature caratteriali, dicono di lui che sia freddo e algido, ma ha dimostrato forza emotiva e tenuta psicologica anche a fronte dei numerosi commenti cattivi provenienti dai "leoni da tastiera"».
È stata la più votata alle elezioni regionali, si aspettava un ruolo di maggior rilievo in giunta, per esempio la vicepresidenza?
«No, perché entrano in gioco altre dinamiche. Ritengo non ci sia persona migliore di Vincenzo Colla come vicepresidente. Al netto, io faccio esattamente quello che desideravo, tra l'altro tutti i voti che ho preso erano indirizzati sulle politiche sociali a me pertinenti: le politiche per i nidi, le politiche per le famiglie e per la scuola».
Quali sono stati i risultati politici che l’hanno resa più orgogliosa?
«Sono stata molto felice di come abbiamo accolto i nostri ragazzi migranti, a San Lazzaro: sono quasi tutti reinseriti. Anche gli asili nidi senza liste d'attesa è stato un risultato che da sindaca mi ha reso orgogliosa. Vedo mamme africane o pakistane che portano i loro bimbi al nido, bimbi che per tradizione sarebbero rimasti a casa fino al raggiungimento dell'età da scuola dell'obbligo».
E una delusione politica?
«La percezione di non avercela fatta o di non essere riuscita ad arrivare fino in fondo su grandi temi, cioè non essere riuscita a trovare uno strumento che desse una risposta efficace alle fasce grigie. Avrei voluto dare più conforto a quelli che ieri ce la facevano e oggi non ce la fanno più».
Come pensa si stia muovendo il governo Meloni sulle politiche sociali?
«Hanno aumentato l'Iva sui pannolini, sul latte in polvere, sui dispositivi di sicurezza per i seggiolini in macchina. Vedo molta ipocrisia nel parlare di famiglia, di persone che soffrono e non arrivano alla fine del mese e poi togliere tutti gli strumenti che possano dare a queste persone un po’ di respiro».
E sulle autonomie regionali?
«Stanno operando tagli alle autonomie scolastiche nell’ultimo anno. Un decreto ministeriale all’orizzonte, a quanto pare, ridurrà l’autosufficienza. L’Emilia-Romagna avrebbe diritto, per decreto ministeriale, a 546 autonomie ma ne presenta solo 532. Per criteri di equità tra Regioni, ne chiuderanno alcune in modo completamente discrezionale, nel nostro caso 31. Noi faremo una grande lotta su questo, perché penso che stiano lavorando molto male sotto il profilo del welfare e della scuola».
Cosa pensa del Ddl che introduce il delitto di femminicidio proposto dal ministro della giustizia?
«Serve un intervento culturale molto forte. Proporrei l’educazione all'affettività nelle scuole, di cui c'è bisogno come il pane e a cui questo governo, per sensibilità politica, si sta opponendo in tutti i modi. Un Ddl fatto così non serve perché non serve mettere in carcere, acuire le pene. Quello che realmente serve è prevenire».
Ha proposto un contributo a carico degli over 65 in cambio di un’assicurazione sanitaria per l’assistenza anziani. Una tassa molto impopolare, perché proporla?
«A oggi noi spendiamo 600 milioni per la non autosufficienza e sul territorio sono presenti 7000 Cra (Case residenze anziani) in cui si entra in base alla gravità e non in base all’Isee. Solo 30mila persone sono coperte, ai restanti 190mila devono provvedere i privati. A fronte di un’età media che avanza e di una diminuzione delle nascite c’è bisogno di rivedere la filiera di cura. Dobbiamo trovare uno strumento che cambi il sistema e garantisca anche a quei 190.000, che un domani saranno 370.000, di avere delle cure di dignità per evitare una macelleria sociale».