teatro

 

Umberto Fiorelli sul palco con gli altri attori (foto concessa da Umberto Fiorelli)

 

«Se ci sono storie che resistono nel tempo, è perché trattano valori universali e attuali. E questo vale non solo per gli adulti, ma anche per i bambini». Umberto Fiorelli, attore della rassegna sul mito in scena al Duse, crede molto nel potere della letteratura antica e del racconto mitico. Nella convinzione che il mondo possa essere conosciuto dagli adulti raccontando le storie di una volta anche in modo leggero, a misura di bambino.

 

Com’è nato il progetto e qual è il suo scopo?

«La rassegna è nata otto anni fa: sette hanno avuto come tema il mito greco e una il Decameron di Boccaccio. I miti che raccontiamo si rifanno alla tradizione greca, ma noi ci ispiriamo a quella latina, la versione contenuta nelle Metamorfosi di Ovidio: hanno quindi come tema centrale quello della trasformazione. Nelle nostre rappresentazioni partiamo sempre dall’opera ovidiana: non raccontiamo il singolo mito, ma lo contestualizziamo nel racconto di Ovidio, arricchendolo di un incipit e introducendo le considerazioni dell’autore. L’idea iniziale era quella di raccontare le storie in modo abbastanza leggero, adatto ai bambini».

 

E poi?

«Col passare degli anni ci siamo accorti che queste storie erano in grado di catturare l’attenzione anche dei bambini della scuola primaria senza bisogno che fossero edulcorate. Andando dunque al cuore del mito stesso: se ci sono storie che resistono nella nostra cultura da tanto tempo, è perché trattano valori universali e attuali, soprattutto».

 

Per esempio?

 «La scorsa settimana è andata in scena la storia di Deucalione e Pirra e del diluvio universale: il tema era quello della malvagità degli uomini. Ne abbiamo molti esempi, in questo periodo storico. Adesso a teatro rappresentiamo la storia di Galatea e Pigmalione: qui il tema è quello delle distorsioni in ambito relazionale e l’incapacità, soprattutto da parte degli uomini, di accettare che un amore può finire e può far soffrire. Abbiamo deciso di mettere in evidenza il fatto che il desiderio di Pigmalione di rendere viva la statua da lui creata venga esaudito da Venere soltanto quando compie un atto di generosità e accetta che una donna in carne e ossa possa anche non amarlo, che l’arte non corrisponde alla vita reale: nel momento in cui decide di vivere un sentimento, deve accettare anche la possibilità che quello possa finire».

 

E per le storie di Fetonte, Piramo e Tisbe e Scilla e Cariddi qual è il collegamento all’attualità?

«Per Fetonte, il tema è senz’altro quello del voler primeggiare, essere al centro dell’attenzione facendo qualcosa di eclatante. La nostra società sicuramente ci spinge a questo, a essere egoriferiti. Piramo e Tisbe l’abbiamo scelta perché è un grande esempio di come le storie, anche le più moderne, vanno sempre ad attingere al mondo classico. In questo caso, lo ha fatto Shakespeare per Romeo e Giulietta. L’ultima che andrà in scena sarà la storia di Scilla e Cariddi: raccontiamo la storia della trasformazione avvenuta per mano di Circe. Il collegamento con l’attualità nasce sul momento, quando di fatto iniziamo a recitare. Per Scilla e Cariddi dobbiamo ancora iniziare a lavorarci, quindi si vedrà. La cosa particolare è che al termine dello spettacolo, in una breve postfazione, spieghiamo al pubblico il ragionamento che ci ha portato a collegare il mito antico al mondo attuale».

 

Che strategie scenografiche avete impiegato?

«Abbiamo scelto di unire più linguaggi insieme, nella consapevolezza che il nostro pubblico è composto di famiglie, e quindi anche di adulti. Cerchiamo dunque di creare qualcosa che sia comprensibile con sfaccettature diverse in base all’età. C’è sempre una parte più adatta ai bambini e ai ragazzi, ma anche una riservata al pubblico adulto, che i più giovani possono ascoltare; dunque siamo molto attenti al linguaggio che usiamo. Oltre agli attori, che interpretano i personaggi, utilizziamo spesso la tecnica delle ombre cinesi: i mortali non potevano vedere gli dèi nel loro aspetto e quindi questo è un trucco. In tutte le rappresentazioni, poi, c’è una parte danzata: la divinità, lo spirito, o la vita infusa dal dio vengono sempre rappresentate per mezzo della danza. Inoltre, novità di quest’anno, l’utilizzo delle maschere. In generale, è sempre presente un tappeto adatto alla danza. La scenografia base è formata da due colonne e alcune figure. Poi il resto varia».

 

Ci saranno anche immagini, a completare la scena?

«Proiettiamo su una cornice quadri, opere di artisti che hanno rappresentato questi miti: la produzione artistica è vastissima. Per esempio, per Galatea e Pigmalione abbiamo i dipinti di Turner, Raffaello, Michelangelo, Waterhouse, Pollock».

 

Chi sono gli attori?

«Siamo quattro attori fissi della compagnia Fantateatro e altri ragazzi: hanno iniziato teatro con noi da quando sono piccoli e ora partecipano alle produzioni. Ci piace permettere loro di sperimentare».

 

A settembre invece saranno in scena "Coppelia e "Lo Schiaccianoci". Come avete lavorato?

«Sono anni che la parte finale della rassegna è dedicata alla danza. Anche in questo caso, li riadattiamo ad un pubblico di giovanissimi. Come nei miti, c’è il tema della trasformazione: Coppelia è la bambola meccanica, lo schiaccianoci prende vita. Ritorna il discorso della metamorfosi, questa volta con la danza come linguaggio prevalente. Noi sceneggiamo questi balletti, con un vero e proprio corpo di danza, e poi li recitiamo in prosa».