America

Donald Trump a Los Angeles (foto creata dall'Intelligenza artificiale)
A Los Angeles c’è il coprifuoco. Dalle 8 di sera alle 6 della mattina i centomila abitanti di due chilometri quadrati di una città che ne misura più di mille non possono uscire di casa. A Los Angeles, ieri, è morto Brian Wilson, fondatore dei Beach Boys, che le emozioni, la voglia di libertà e il sogno della California l’hanno cantato e ballato. A Los Angeles, oggi, sembra di essere in un romanzo di Bret Easton Ellis, l’autore di “American Psycho”, “Meno di Zero” e “Le Schegge”. E invece è tutto reale. Sono reali le manifestazioni dei migranti, i 400 arresti, l’impiego della Guardia Nazionale, dei Marines e le invettive di Donald Trump che, secondo la Casa Bianca, «non permetterà che in America governino i criminali». Quello che sta accadendo nella Città degli Angeli è una diretta conseguenza di una delle ultime mosse del presidente tycoon, di cui in calce ricordiamo le iniziative principali.
Il sindaco della metropoli californiana, Karen Bass, ha detto che «il Presidente sta usando la nostra città come esperimento, per vedere fino a dove può spingersi nel violare la legge. Se sfonda qui, potrà farlo in tutto il Paese». Un Paese dove le tensioni tra i poteri esercitati dalla polizia e i diritti reclamati dai migranti si fanno sempre più accese. E pericolose. La scintilla delle proteste che in questi giorni coinvolgono il cuore di LA, a pochi passi dal Pueblo, il quartiere simbolo della multietnicità della città, prima sotto il dominio spagnolo, poi sotto quello messicano e statunitense, è scoccata il 6 giugno. Un blitz dopo l’altro degli agenti dell’Ice (l’Agenzia federale che controlla l’immigrazione) nei luoghi simbolo della metropoli, 1st street, Spring Street, l’area della City Hall. 118 arresti di persone sospettate di non essere in regola con i documenti. Gli scontri politici tra il governo statale e quelle federale. Le persone scendono in piazza e si confondono, non c’è più differenza tra cittadino statunitense, migrante regolare, clandestino. Un lungo abbraccio di solidarietà umana e come sottofondo sembra quasi di sentire quella Surfin’s Usa dei Beach Boys,«if everybody had an ocean, across the Usa, then everybody0d be surfin’ like California (se tutti avessero accesso all’oceano negli Usa, tuti si darebbero al surf come in California)». Un luogo di speranza che è dura a morire e che se proprio deve farlo sarebbe l’ultima cosa che si augurano chi in California ci è nato, ci è cresciuto o ci è arrivato dopo un lungo viaggio fatto di rischi, di muri che la separano dal Messico. Un viaggio fatto anche di illegalità per fuggire da condizioni umane e ambientali insostenibili.
E pensare che la storia americana è un racconto di realizzazione, della tutta europea aspirazione alla ricerca del nuovo, del diverso, dell’espansione, anche a costo di agire da tiranni, massacrando le popolazioni native, relegandole in riserve recitante. Dimenticando la stretta e ancestrale connessione che unisce tali popoli originari alla loro terra, intesa come sabbia, roccia, canyon e immensa prateria. L’America è anche questa. Con le sfumature, i suoni e i profumi del South Bronx di New York City, lacerato da enormi problemi di sicurezza, di droga e di povertà, ma profondamente vivo, umano nel senso più antropocentrico possibile del termine, dove i bambini giocano ancora nei cortili e ai bordi delle strade a fondo cieco, magari imparando a fare canestri impossibili, a suonare la tromba o il sassofono, a dipingere sui muri le loro urla di speranza e di riscatto.
Ancora oggi i quartieri periferici delle grandi metropoli americane, al netto di tutte le criticità contro cui combattono i loro abitanti ogni ora del giorno, rappresentano la perfetta sintesi degli anacronismi e delle contraddizioni che rendono unico questo paese. L’urgente volontà di guardare sempre al futuro, preservando quella manciata di secoli di storia che possono vantare, in piedi su una costruzione sociale ed economica piuttosto salda. Ma che ogni tanto vacilla, muovendosi come i palazzi antisismici della California, sottoposti quotidianamente a forti sollecitazioni terrestri, eppure impavidi dall’alto dei loro vetri scintillanti e dei loro pennoni che letteralmente solleticano il cielo perennemente blu di quelle zone.
Ecco, il secondo mandato di Trump alla Casa Bianca è come una di queste scosse che colpiscono un giorno sì e l’altro pure la costa ovest degli Stati Uniti e di cui non si possono prevedere con esattezza le conseguenze, a breve o a lungo termine poco importa. Perché è vero, un terremoto può buttare giù un palazzo vecchio, magari già in demolizione, e fare lui il lavoro sporco, sostituendosi all’uomo. Può anche, tuttavia, danneggiare qualcosa che merita di essere preservato, curato e cresciuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno, e di cui l’uomo deve necessariamente farsi carico, più con il suo cuore e la sua anima che con il suo denaro o la sua forza bruta.
E in questi giorni, molto più semplicemente, la California e Los Angeles stanno solo tentando di sognare una versione migliore di loro stesse, una personificazione totalizzante e completa di quell’aspirazione all’inclusione e alla dignità che un democrazia così potente come quella americana non può permettersi di disattendere.
Le iniziative più discusse di Donald Trump
- Il giorno successivo all’assunzione dell’incarico, il 47° Presidente degli Stati Uniti, attraverso una serie di ordini esecutivi, vieta qualsiasi riconoscimento federale dell’esistenza giuridica di persona transgender e transessuali;
- Interrompe i servizi dell’app Cbp One che consentiva ai migranti senza documenti di richiedere online un appuntamento per proseguire con la richiesta di asilo;
- Ripristina l’emergenza nazionale al confine con il Messico strutturando un piano di intervento delle forze armate;
- Attribuisce all’Ice, l’Agenzia federale per l’immigrazione, il potere di deportare gli immigrati arrivati legalmente sul suolo americano grazie ai programmi di accoglienza elaborati dall’amministrazione Biden, fissando delle quote di deportazione giornaliere;
- Firma tre ordini esecutivi che impongono nuovi dazi del 25% sui beni provenienti da Canada e Messico e del 10% su quelli provenienti dalla Cina;
- Annuncia poi l’imposizione di dazi da un minimo del 10% a un massimo del 50% per i beni provenienti da altri 180 Paesi del mondo, Ue compresa;
- Prevede nuovi divieti di viaggio per i cittadini di dodici Paesi, tra cui Afghanistan, Iran e Somalia. Venezuela, Cuba e Laos sono soggetti a restrizioni parziali.