Fundraising

Immagine concessa da Festival del Fundraising
Valerio Melandri, direttore del "Master in Fundraising" dell’Università di Bologna, è anche il fondatore del "Festival del Fundraising", l’iniziativa ospitata dal 9 all’ 11 giungo di quest’anno, per la sua diciottesima edizione, al Palacongressi di Riccione. Oggi racconta a InCronac@ come un’idea nata per dare visibilità a una professione nascosta abbia rivoluzionato il mondo del "non profit" italiano.
«Il Festival nasce per rendere visibile l’invisibile. La figura del fundraiser è spesso ignorata: si conosce molto bene il donatore che ha la targa, la via intestata, il ringraziamento continuo, e il beneficiario, il bambino salvato o la persona guarita. Ma chi crea il contatto tra questi due mondi? Il fundraiser. È una figura invisibile, ma fondamentale. In Italia si raccolgono circa 10 miliardi di euro all’anno o meglio dire 30 milioni al giorno. Ecco perché il Festival vuole accendere un faro su questa professione. In più, vuole creare una community o come preferisco dire io, una tribù di persone che si incontrano fisicamente per condividere esperienze, casi, successi e insuccessi. Niente lezioni frontali, oggi c’è l’Ai per questo, sono invece insostituibili lo scambio umano, l’esperienza diretta e il confronto».
A proposito di intelligenza artificiale, quest’anno il Festival offre una sessione su questo tema così attuale. Quale impatto ha questa tecnologia sul fundraising?
«Enorme. L’Ai generativa ci offre l’opportunità di dedicarci a ciò che conta davvero: le relazioni umane. Se posso analizzare un database in sette minuti anziché sette ore, quelle sei ore e mezzo le posso impiegare per guardare le persone negli occhi, ascoltarle, capirle. È uno strumento potentissimo se usato con consapevolezza».
Secondo lei, il Festival ha trasformato il panorama del fundraising in Italia?
«Assolutamente sì. Il Festival ha creato un mercato del lavoro che prima non esisteva. Oggi ci sono organizzazioni come "Save the Children", "Medici Senza Frontiere" o "Airc" che cercano fundraiser formati. Abbiamo visto nascere fornitori specializzati, piattaforme di recruiting, consulenti dedicati. Non c’erano vent’anni fa. È un cambiamento evidente a tutti, supportato dai fatti».
Il Festival punta a un “futuro sostenibile”, ma sostenibile in che modo?
«“Futuro sostenibile” è in realtà il nostro slogan da sempre. Per noi significa rendere sostenibili economicamente e strutturalmente le buone cause. Il fundraising è lo strumento che permette a queste cause di durare nel tempo, di impattare davvero. La sostenibilità, nel nostro vocabolario, parte da qui. Anche se la cornice del futuro sostenibile rimane ogni anno la stessa, quest’anno abbiamo voluto accostare il tema portante dell’anno: l’intelligenza artificiale e l’intelligenza alternativa, per ribadire che il "non profit" è un pensiero diverso, un’alternativa culturale e valoriale».
Come si è evoluta nel tempo la figura del fundraiser per stare al passo con una tecnologia in continua evoluzione?
«È cambiata profondamente. Oggi un fundraiser non improvvisa: ha studiato, si è formato. Il "Master in Fundraising" dell’Università di Bologna, attivo da 24 anni, ha contribuito molto, ma ci sono anche altri percorsi. I salari si sono alzati, il riconoscimento professionale è cresciuto.
C’è anche un’importante equità di genere: nelle posizioni apicali del fundraising troviamo molte più donne rispetto ad altri settori. E oggi, con l’intelligenza artificiale, la differenza tra chi è mediocre e chi è eccellente sarà sempre più evidente. Chi è mediocre verrà sostituito. Chi sa usare bene questi strumenti, crescerà».
I fundraiser dell’anno sono Paolo Ferrara o Paola Iolanda Ciliberto. Con quali criteri sono stati selezionati come vincitori dei premi del Festival?
«Ci sono due premi distinti. Il premio senior viene assegnato da una giuria indipendente a un professionista affermato che ha restituito valore alla comunità condividendo esperienza e conoscenze. Non è proprio un premio alla carriera, ma ci si avvicina.
Il premio Young Fundraiser invece valorizza chi ha meno di 39 anni e ha già ottenuto risultati significativi. È un incoraggiamento a continuare su quella strada».
Cosa si porta a casa chi partecipa all’evento?
«Relazioni. Credo moltissimo nei “legami deboli”. I legami forti come famiglia, amici, sono fondamentali, ma non sempre portano a opportunità professionali. Invece, i legami deboli che nascono da incontri casuali, magari a cena seduti accanto a qualcuno, sono quelli che spesso cambiano la vita. Il Festival è pensato proprio per questo: nessuno deve tornare a casa da solo, anche se è arrivato da solo. Vogliamo facilitare ogni occasione di crescita e collaborazione».
Ha un progetto nel cassetto per il futuro?
«Sì, il prossimo Master che organizzerò sarà interamente dedicato all’intelligenza artificiale. È una rivoluzione epocale. Io appartengo a una generazione che ha scritto la tesi di laurea a mano. Office ha rappresentato un cambiamento importante, ma non paragonabile a quello attuale. La formazione, per come l’abbiamo conosciuta, è finita. L’Ai non si impara in un corso: si impara solo usandola. Chi non si mette a usarla oggi, sta sabotando la propria carriera. Dobbiamo considerarla come uno stagista iper-efficiente: può fare bene i compiti semplici, ripetitivi. Presto avrà un quoziente intellettivo superiore a quello della media delle persone. E chi non ci si confronta resterà indietro».