Criminalità

Un'immagine di Palazzo Madama (foto Ansa) 

 

Centonove voti favorevoli, sessantanove contrari. Quattordici nuovi reati, nove aggravanti aggiuntive. Con questi numeri il Decreto sicurezza è passato ieri con la fiducia al Senato. L’approvazione in aula, senza dibattimento, chiude un percorso legislativo iniziato due anni fa, quando il 17 novembre 2023 il Consiglio dei ministri aveva dato il via libera al disegno di legge che poi, con una brusca accelerazione, fu convertito in decreto legge lo scorso 4 aprile. Esulta da Palazzo Madama la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che si è portata a casa una vittoria importante: «Un passo decisivo per rafforzare la tutela dei cittadini», mentre insorge il fronte del “no”, che denuncia il restringimento dei diritti e del silenzio. «Tutta propaganda, non è più sicurezza, è repressione» sono le parole della segretaria del Pd, Elly Schlein.

 

Matteo di Benedetto, capogruppo della Lega in consiglio comunale a Bologna, sottolinea il successo della sua parte politica: «Finalmente una stretta su tanti reati che da tempo abbiamo promesso di contrastare, stiamo dimostrando coi fatti di stare dalla parte della sicurezza della comunità e delle forze dell’ordine, che vengono prima della tutela dei delinquenti. Questa invece è la prima preoccupazione della sinistra che osteggia queste misure». 

 

Secondo la docente di diritto penale dell’Università di Bologna Francesca Curi, invece, «non potranno che sollevarsi questioni di legittimità costituzionale. Da disegno di legge, che richiede un iter legislativo lungo e articolato, in undici mesi ha preso la corsia di sorpasso. È una forzatura delle regole di equilibrio costituzionale e una questione di rispetto dei ruoli. Il fatto che il decreto sia passato con la fiducia in entrambe le Camere non ha lasciato possibilità a un dialogo costruttivo». 

 

I nuovi reati spaziano dall’attivismo non violento contro le grandi opere, i No-Tav e No-Ponte, alla resistenza passiva in carcere, dalla criminalizzazione dei blocchi stradali al divieto di coltivazione e lavorazione della “cannabis light”. E ancora, l’occupazione di case punita come l’omicidio colposo, misure restrittive per le detenute madri, più tutele per le forze dell’ordine. Una stretta che agisce profondamente sul modo in cui lo Stato si rapporta ai cittadini, giudicata da molti come «incostituzionale», quindi nei fatti inapplicabile, e che inventa un nuovo lessico politico. La protesta non violenta, la voce e il corpo diventano “criminali” e vengono puniti. E mentre l’inasprimento delle pene va a toccare le lotte sociali e le marginalità che resistono, i pezzi grossi dell’illegalità vengono lasciati liberi di agire indisturbati. La professoressa Curi è convinta che la questione non sia chiusa, e che se ne parlerà ancora a lungo, e aggiunge. «La nuova legge non ha a che fare con la sicurezza. C’è una volontà di perseguire o le frange più fragili o l'espressione del dissenso che possono costituire un perturbamento per questo governo. Per il blocco stradale, per esempio, non è che prima non venisse punito, c’era la sanzione amministrativa. Con il Dl sicurezza, però, diventa un reato, resta sulla fedina penale».