Violenza di genere

Le scarpe rosse, simbolo della lotta contro la violenza verso le donne (foto Ansa)

 

Da una parte un’arma di propaganda politica, dall’altra un importante strumento contro la piaga delle violenze sulle donne: sono agli opposti i due schieramenti intorno alla bozza di legge che introduce il reato di femminicidio nel Codice Penale, proposto e sponsorizzato dalla stessa Giorgia Meloni («Un passo avanti»), ma anche dal ministro della giustizia Carlo Nordio («Risultato epocale»), ma supportato anche dalla minoranza, in particolare dalla senatrice del Pd Valeria Valente su "il Dubbio" («Strumento operativo importante»).

I promotori del ddl vedono l’ampliamento del reato di omicidio come una risposta adeguata e urgente all'aumento dei femminicidi, sottolineando la necessità di una pena esemplare per chi uccide una donna per motivi discriminatori, culturali e di genere. Inoltre, il reato autonomo permetterebbe di rafforzare la struttura della tutela per le donne, come ha sostenuto Nordio in conferenza stampa il 7 marzo: «Aver costituito una fattispecie autonoma ci esime da una serie di problematiche tecniche che riguardano i bilanciamenti tra attenuanti e aggravanti».

Discorso ripreso da Marta Tricarico su "la Repubblica", avvocata bolognese responsabile del gruppo giustizia dell’Unione donne italiane di Bologna, che definisce la bozza come una «introduzione doverosa di un reato specifico che dà atto della portata e del tipo di violenza scaturita dalla disuguaglianza di poteri. Viene descritta la condotta di colui che uccide una donna per motivi di discriminazione, odio di genere o per reprimere i suoi diritti o la sua libertà». 

Dall’altra parte, invece, ottanta docenti universitarie penaliste hanno firmato ieri a Bologna un appello contro il disegno di legge, definendolo «un modo simbolico, propagandistico e superficiale di affrontare la questione», come ha dichiarato la giurista e professoressa Silvia Tordini Cagli sempre a "la Repubblica". A sostenere la sua posizione ci ha pensato Maria “Milli” Virgilio, avvocata ed ex docente Unibo di diritto penale, che ha dichiarato al medesimo giornale: «Il testo è inapplicabile. Si parla di discriminazione, di odio verso una donna in quanto donna, di finalità di reprimere la sua espressione di libertà. Sono difficili da dimostrare. Introdurne la fattispecie non credo serva da deterrente: un uomo che uccide una donna non credo si fermerebbe perché teme l'accusa di femminicidio invece di quella di omicidio».

Le principali critiche delle penaliste verso il ddl includono l’incapacità di sradicare i femminicidi dalla radice socio-culturale, la riduzione della donna a una «immagine subalterna e mortificata», usando le parole di Silvia Tordini Cagli, la quale propone un approccio basato su una «riflessione sull’insieme delle pratiche sociali, politiche, pubbliche e istituzionali che giustificano o favoriscono la violenza maschile». Oggi per dare seguito al documento delle penaliste, sia Tordini Cagli che Virgilio, sono andate in commissione Giustizia al Senato per esortare i parlamentari a rivedere la bozza di legge.