Femminicidio

La bilancia simbolo della giustizia (foto di Creative Commons)

L’introduzione del reato di femminicidio nel Codice Penale, punito con un ergastolo con poca possibilità di attenuanti, e di nuove tutele per le vittime di violenza di genere sono i punti cardine del disegno di legge 1.433, presentato il 31 marzo dal Governo Meloni e tutt’ora in discussione nella commissione giustizia del Senato. Il testo si apre definendo il “femminicida” «chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà», il quale verrà «punito con l’ergastolo». A differenza dell’omicidio, nel suo stato attuale, il ddl prevede la condanna a vita come pena obbligatoria, la quale non si applicherebbe come aggravante, ma in quanto sanzione base e fissa.

Nello specifico, la bozza di legge ruota attorno al concetto di femminicidi come manifestazione estrema di dinamiche di discriminazione di genere, potere, controllo e stereotipi culturali, che va contrastata con strumenti specifici. Introducendo il reato, i fautori cercano di conferire un peso legale maggiore al fenomeno e una risposta più dura e circoscritta.

Tuttavia, i detrattori del ddl sottolineano il rischio della sovrapposizione normativa con altri reati e l’incapacità di attaccare le cause profonde del fenomeno. Tra gli altri, il tema dell’ergastolo è quello che ha mosso di più le acque: nonostante il testo riconosca la possibilità di applicare le attenuanti già presenti nel Codice Penale, la pena non potrà mai scendere sotto i 24 anni in presenza di una circostanza mitigante, e sotto i 15 anni in caso di molteplici attenuanti.

Quindi, i livelli minimi proposti prevedono comunque un periodo di incarcerazione molto lungo, il che riduce molto lo spazio di manovra e interpretazione che il giudice possiede su un normale reato di omicidio.

Sul lato delle nuove tutele proposte, invece, nei confronti del colpevole includono: misure cautelari più tempestive, braccialetto elettronico più semplice da applicare, sospensione della responsabilità genitoriale anche prima della condanna definitiva e accesso a fondi pubblici per chi denuncia il partner violento.

In questo caso, chi ha criticato la bozza ha lamentato la natura reattiva piuttosto che preventiva delle tutele (cioè dopo che la violenza ha avuto luogo), la poca chiarezza sulla modalità delle coperture, i criteri di accesso e l’attuazione pratica per l’aiuto economico per chi intenta cause contro il proprio aguzzino.