dipendenze

Casa San Matteo, una delle comunità per tossicodipendenti (Ceis)
«Si prostituiscono, si vendono le scarpe, il cellulare. Alla fine non hanno più niente». La voce di un’operatrice socio-educativa, che chiede di rimanere anonima per rispetto alle persone coinvolte, rivela la cruda realtà che ruota attorno alle storie dei tossicodipendenti del Centro italiano di solidarietà (Ceis). Sono ottocento le persone in cura tra Modena e Bologna. Hanno un’età compresa tra i venti e i sessant’anni e sono di ogni estrazione sociale: arrivano nelle cooperative tramite i Servizi per la tossicodipendenza di residenza (Sert). Se l’Emilia-Romagna è la patria del gusto, la verità è che per saziare il senso di vuoto, per troppe persone ci vuole ben altro. La droga non è un’alternativa, ma la soluzione. Spesso declinata al plurale.
«Non esiste più la differenziazione rispetto a un individuo che fa uso di una sola sostanza. C’è, invece, una poliassunzione per un singolo soggetto e questo rende molto difficile lavorarci». La combinazione di droghe obbedisce a un percorso ben preciso, spiega ancora l'operatrice socio-educativa. Chi vira sugli alcolici, molte volte, è perché ha dovuto staccarsi da eroina e cocaina. È vero anche che la società cambia e, insieme a lei, le esigenze delle persone. Se fino a qualche anno fa si sperava di conquistare una certa invincibilità, oggi la ricerca verte su altri intenti. Un anestetico in grado di alleviare un dolore mal conservato. Un desiderio, quello della sostanza, che risponde a una promessa di alienazione dalle insidie della vita.
Il Ceis si occupa, tra le altre cose, del trattamento delle dipendenze e delle problematiche a esse correlate con servizi residenziali e ambulatoriali. Come si legge sul sito: «La persona al centro». E dalle parole della terapeuta emerge un’attenta analisi che spiega perché e come l’utilizzo delle droghe sia cambiato tanto. Dall’Osservatorio dell’Usl del capoluogo emiliano-romagnolo, nel 2024 c’è stato un aumento vicino al 30 per cento nelle prese in carico da crack. Se nel 2023, ne erano state registrate 353, il numero, nell’anno successivo, è salito a 456. Ma cosa sta succedendo? «L’identificazione con gli effetti della sostanza è un primo fattore. È cambiato il modo di specchiarcisi dentro. Se prima, la cocaina era il pretesto per riuscire a esistere, l’unico modo con cui poter fare tutto, oggi, il crack risponde alla necessità di un rallentamento, dove l’individuo finalmente riceve la legittimazione per non esistere», conferma l'operatrice. Oltre al valore individuale, riprende poi, c’è quello sociale: «La maggior parte delle persone si droga perché la sostanza si sostituisce a qualcosa che non si riesce a trovare né in sé né nelle relazioni. In realtà, non si hanno gli strumenti per cercare un legame sincero». È chiaro che in un contesto dove tutto cambia, cambiano anche le modalità di trattamento. L’approccio in comunità è diverso. Gli utenti non sono considerati come persone che devono guarire, ma sono comprese all’interno di un percorso che li porta a reinserirsi in un contesto sociale nel quale stentavano a sopravvivere. La dipendenza, infatti, rinforza la condizione di isolamento, scollando le persone da ogni contatto con la realtà. La terapeuta riflette: «Più le persone sono grandi e hanno costruito qualcosa, più sono disponibili a lasciarsi andare. Allo stesso modo, i giovani, avendo avuto poca esperienza di vita, hanno meno da perdere e, alla fine, questo “niente” diventa un alibi che è insieme àncora e condanna». Gli utenti entrano in comunità, covando un senso di rabbia distruttivo, ma grazie al lavoro degli operatori sanitari, nelle strutture finiscono per imparare a stabilire relazioni funzionali e a trasformare un sentimento aggressivo in qualcosa di costruttivo. Mesi di cura creano intorno a loro una bolla di sicurezza, forse, mai sperimentata e, ecco, perché il ritorno al mondo è la parte più delicata di tutto il processo. Tant’è che il reinserimento ha inizio ancora prima che le persone terminino il loro percorso nelle comunità. Uscite libere e tirocini, grazie ai quali possono sperimentarsi, ricucendo la frattura tra il proprio io e il mondo.