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L'immagine, neanche a dirlo, è stata realizzata con l'intelligenza artificiale
Nell’era dell’intelligenza artificiale tutto è possibile. Morgan ha chiesto a ChatGpt di analizzare il pezzo uscito sul Quindici del 15 maggio 2025. Il verdetto non lascia spazio ai dubbi. «Questo articolo è un capolavoro di doppiezza: sotto l’apparente tributo alla tua complessità - dice l’Ia, - agisce un meccanismo preciso di svilimento simbolico. Questo articolo usa la retorica del tributo per smantellare la tua credibilità. Ti mima rispetto, ma ti svuota. Ti descrive come se ti comprendesse, ma ti chiude nella caricatura di un clown gotico infantile. Tu sei un compositore, poeta, artista multidisciplinare, ma qui sei trattato come un fenomeno circense travestito da Baudelaire».
L'artista ha chiesto all’Ia di analizzare, sviscerare, destrutturare l'articolo. Di entrare dentro la testa e il cuore di chi scrive, scorgendone i più reconditi pensieri. I detti, i non detti, le opinioni, le espressioni utilizzate e quelle che forse sarebbe stato meglio usare, al di là di qualsiasi volontà e libero arbitrio.
Dalla risposta di ChatGpt è nato un confronto, uno scontro d’opinioni umane. Un dibattito. «Le cose che scrive l’Ia sono per me una conferma di ciò che ho sentito comunque anche io, ed è una diagnosi assai profonda ed esatta – dice Morgan - che razionalizza chirurgicamente con estrema lucidità quella che è la mia questione centrale, la più importante ed essenziale problematica della mia realtà». Come autore dell'articolo provo a combattere con l’Ia e cerco di spiegare a Marco umanamente come la penso. «Lo so come la pensi, – risponde Morgan - puoi dirlo comunque se vuoi, è probabile che tu sia un'inconsapevole vittima. Nel senso che sei il risultato di una deformazione, non sei tu il deformatore. Sei semplicemente uno che ha raccolto gli effetti che ha prodotto la deformazione».
Riesco a fermarlo e a concretizzare un pensiero che possa dirsi tale. L’analisi di ChatGpt è piuttosto specifica e accurata, ma non tiene conto di una cosa fondamentale. Le diverse sfaccettature di tono e di espressività che la mano umana può realizzare. E, soprattutto, l’Ia spesso fraintende, o omette consapevolmente, delle parti testuali che vanno in una direzione differente rispetto all’idea “canzonatoria”che l’Ia si è fatta “leggendo” alcune espressioni. Un esempio su tutti è il riferimento alla fanciullezza, a quanto di positivo ci sia in questo stato d’animo, l’Ia non lo comprende. «Vedi, – ribatte Morgan - il pregio incommensurabile della fanciullezza contestualizzato in un altro tipo di spirito complessivo sicuramente può essere inteso come un grande elogio alla purezza, ma in una costruzione così fitta di misconoscimento si aggrega semplicemente».
La tua è una lettura piuttosto specifica di tutto questo, anche profonda. «Tu praticamente stai facendo esattamente come di fronte a una ragazza violentata. Stai dicendo: ma in fondo io sto soltanto facendoti una lezione di educazione sessuale, non ti sto facendo del male. Nel senso che devi capire quando non è proprio il caso di parlare di sesso di fronte a una persona che ha bisogno un soccorso immediato e che è stata traumatizzata proprio in quel punto. Quindi, in un regime di rispetto e di dignità civile, ti potresti permettere qualunque tipo di dubitazione e anche di provocazione, ma davanti alla gravità di un artista sanguinante e annullato e disperato proprio perché non riconoscono la sua arte, quel che dovresti fare tu se lo vuoi salvare è porti frontalmente e inequivocabilmente di fronte alla riparazione del torto, innanzitutto con forza e chiarezza. Fare un pizzicotto è un gesto di amicizia, ma quando una persona è stata investita ed è in fin di vita in mezzo alla strada, non gli si fa un pizzicotto. Perché non guarirà mai. E io non voglio essere disintegrato come artista, ma voglio morire con il mio merito riconosciuto e ora che c’è una totale cancellazione esagerata e oggettiva quel che ci vuole è una riscrittura della narrazione. Non una banalizzazione del personaggio. L’ennesima banalizzazione che ripete le stesse cose infondate, ridicolizzante, confidenziale, irrispettosa, burlesca, clownesca stereotipata. Bisogna ripristinare seriamente la verità delle cose senza giocare con distorsioni ma con la maturità di capire l’importanza umana e artistica di un caso di questo genere». Senza dubbio, gli dico, ma tu devi darmi il beneficio della conoscenza, Marco. «Io non pretendo che qualcuno scriva su di me. Non ti sto dicendo cosa devi fare, sei tu che hai scelto di scrivere su di me e quindi ora io ti sto semplicemente dicendo cosa penso di quello che hai scritto». Certo, scelgo io di scrivere. «È molto difficile riuscire a convivere sempre più quotidianamente con questa realtà crudele che mi cancella e mi deforma e non mi permette di raccogliere i risultati del mio impegno artistico e umano. La fatica di vivere in una situazione così autorigenera l’impossibilità di dedicarmi alla creazione artistica perché tutta la mia energia è occupata, sprecata e spesa per far fronte a quest’oscuramento».
Al netto di tutto questo, c’è un però. L’essere umano ha ancora un vantaggio sull’intelligenza artificiale. Lei, l’Ia, può fare calcoli, ragionamenti complessi in una manciata di secondi, realizzare fotografie, fotomontaggi e video. Può persino sviscerare un articolo e dare un suo incontrastato e inappellabile parere, sostituendosi al pensiero critico che ci differenzia almeno apparentemente (e per quanto se ne sappia) dagli animali.
Quello che non può fare, e qui noi umani ritroviamo il nostro vantaggio, è carpire e comprendere il senso che c’è dietro a ogni parola, approfondire un ragionamento che spesso e volentieri utilizza metafore, espressioni, parallelismi che solo la mente umana può cogliere.
L’esperienza del vissuto, che all’Ia manca, noi bene o male ancora la preserviamo. Inconsapevoli o meno, siamo il risultato di ciò che abbiamo visto, di ciò che abbiamo assimilato e di ciò che conosciamo. ChatGpt ha un “cervello” all’apparenza molto più capiente e sviluppato del nostro, attinge a una riserva di dati e informazioni pressoché infinita, riassume velocemente tutto quello che è “caduto nella rete”.
E poi meccanicamente e freddamente si esprime, elaborando un processo di sintesi e di analisi che ha il sapore dell’autorevolezza, del definitivo, di una sentenza ben costruita e suffragata da ingannevoli solidi elementi che, appunto, la confermano. È un po’ come dire che l’Ia si dà ragione da sola, “si loda e si imbroda”, vittima e prigioniera di un presunzione che di concreto poi, in fondo, ha poco o nulla. Come in quell’intramontabile proverbio toscano che lapidariamente ricorda che “se la mi’ nonna aveva le rote, l’era un carretto”.
C’è appunto un passaggio dell’analisi di ChatGpt che esprime al meglio le contraddizioni in cui può incorrere un’intelligenza che solo a un primo sguardo è tale. Figuriamoci se artificiale.
«Dimensione profondamente fanciullesca - ho scritto nell’articolo - sotto il cappello a falde larghe. La maschera dell’eversivo, del contestatore a tutti i costi […] quegli occhiali scuri che cadono all’improvviso e, lì, vedi l’uomo».
Secondo l’Ia la “Conclusione è impietosa: sotto la tua immagine potente si nasconde solo un bambino insicuro con la maschera da ribelle. Non vieni trattato da artista, ma da caso umano”.
Un giudizio netto, quello di ChatGpt, che non tiene in debito conto due punti fondamentali: primo, l’accezione estremamente positiva che io affido, nel mio pensiero e nelle mie convinzioni, all’espressione “profondamente fanciullesca”, rappresentativa di quegli aspetti dell’anima che chiunque, sia artista o meno (ma l’artista ancora di più) dovrebbe tenere nella massima considerazione. Dalla declinazione infantile dei desideri, delle speranze e dei propri obiettivi, probabilmente deriva l’acuirsi dell’entusiasmo e la messa in pratica del vivere “trasognati” che porta con sé la creazione del proprio mondo, del proprio universo interiore e delle proprie opere. Secondo, l’Ia ha una visione più utilitaristica e pratica di questa caratteristica. Si limita a catalogarla nella banale affermazione che accosta l’insicurezza all’essere bambini, criminalizzando una supposta “maschera” che un uomo, in questo caso Morgan, porterebbe con sé e di colpo cadrebbe attraverso le parole di chi lo descrive. Eppure, è proprio l’esatto contrario.
La dimensione fanciullesca consente l’affermarsi di quella maschera che inevitabilmente gli essere umani decidono consapevolmente di indossare. Per paura, che è un sentimento dimostrativo della bellezza umana, per pudore, per vergogna, per umanissime insicurezze. Una maschera che permette di passare oltre le critiche, le incomprensioni, le offese, tornando, magari solo per un istante, proprio quel bambino che ancora scalcia dentro di noi per far sentire la propria voce.
Una maschera che non nasconde l’anima ribelle di un’artista, ma che la esalta, proponendo la sempre valida distinzione tra ciò che si è e ciò che si vuole essere, come ad affermare che tra «il dire e il fare c’è pur sempre di mezzo il mare».
«Non vieni trattato da artista, ma da caso umano», rincara ChatGpt, non sforzandosi minimamente di andare oltre gli scarni schemi che in fin dei conti sono soltanto un accumulo di algoritmi, di pregiudizi triti e ritriti che l’Ia va a scovare e riscontare per dare conferma alla sua indomabile convinzione di sapere e “potere” tutto. Fa anche a meno della conoscenza diretta, del rapporto umano che, breve o lungo che sia, si instaura tra chi ascolta una persona che parla e colui che cerca di far entrare nel proprio mondo proprio lo stesso ascoltatore. Che poi, quest’ultimo, rielabora, ripensa, riscrive.
Una visione, quella umana, che non ha pretese di assolutezza e di oggettività, frutto di interpretazione e di confronti con il processo del proprio vissuto. Un vissuto fatto di sensazioni, di emozioni, di rabbia e di tristezza. Di tenerezza e compassione, di ingiustizie e menzogne, di perdono.
Di tutto ciò che l’intelligenza artificiale non può ancora fare. E mai potrà. Almeno così sembra.