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Vecchioni durante il concerto (foto di Paolo Pontivi)

 

"Infinito tour", di Roberto Vecchioni, che ha fatto tappa a Bologna, all'Europa Auditorium, è molto più di un concerto. Certo, c'è la musica, ci sono sono le canzoni più celebri del cantautore, ci sono quelle meno conosciute. E poi le chitarre, la batteria, le tastiere, il mandolino e la fisarmonica. Le note di "Voglio una donna", di "Sogna ragazzo sogna", di "Vincent", di "Chiamami ancora amore". Ecco, c'è tutto questo. Ma ci sono soprattutto le parole. I pensieri del cantanteprofessore che introducono quasi tutti i brani, come un flusso ininterrotto di riflessioni sui tempi moderni, sull'istruzione, sulla indispensabilità dell'amore, dell'impegno e della fatica.

Da un'esperienza personale vissuta e assimilata, magari anche sofferta, come la morte del figlio Arrigo, Vecchioni apre il sipario sulla sua visione del mondo. In piedi dietro una cattedra che sembra quasi di vedere sul palco, usa la parola cantata e raccontata per cercare di avvicinare i giovani (pochi in sala) alla bellezza. Scongiurando il rischio della leziosità, cita i miti greci, evoca l'elogio alla speranza della poetessa statunitense Emily Dickinson e la disperazione del pittore Vincent Van Gogh a cui dedica un brano. Parole che trasformano in realtà presente i ricordi degli anni passati nelle osterie di Bologna, fino a notte fonda, accanto a un Francesco Guccini barzellettiere e a un Lucio Dalla che parlava interrottamente. E poi tutte le sue donne, la figlia, la moglie. E quella che in "Luci a San Siro" gli fa dire, rivolto a una Milano personificata, «prenditi pure quel po' di celebrità. Ma dammi indietro la mia Seicento, i miei vent'anni e una ragazza che tu sai».

La recensione è tratta dal numero 3 del Quindici, del 15 maggio 2025