medicina

Il cardinale Zuppi alla destra, a fianco il presidente della Regione, Michele De Pascale  (foto di Federica Cecchi)

 

«Donare il corpo alla scienza è un atto di generosità». Lo ha detto il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna, a margine del convegno “Donare il corpo alla scienza”, organizzato dal Centro Anatomico dell’Università di Bologna nell’Aula Magna di Santa Lucia, in cui ha reso noto di essere per altro già un donatore di organi. «Io sono iscritto all’Aido – ha aggiunto, estraendo la tessera dal portafoglio – ma non sapevo fosse possibile donare anche il corpo intero alla scienza. È una forma di dono ancora più gratuita: non si sa a chi andrà, ma si sa che servirà. Per la Chiesa è un gesto che aiuta gli altri, che sostiene la scienza e, quindi, la salute pubblica».

Una pratica ancora poco diffusa in Italia, dove si registrano appena una decina di donazioni l’anno, come ha spiegato Lucia Manzoli, professoressa ordinaria di Anatomia Umana all’Università di Bologna e direttrice del Centro di riferimento nazionale per la donazione del corpo alla scienza. Bologna è in prima linea per cambiare le cose. «La città delle due torri è uno dei punti più avanzati in Italia», spiega Susi Pelotti, medico legale e docente dell’Alma Mater, «ma nel nostro Paese manca ancora una cultura della donazione del corpo alla scienza. In Germania o in Austria è un atto comune, mentre da noi è ancora visto con diffidenza. Questo evento serve proprio a sensibilizzare: la finalità è la formazione dei chirurghi, la ricerca, la crescita del sapere medico».

A coordinare il Centro Anatomico di via Irnerio, riconosciuto nel 2022 come centro di riferimento nazionale, è Manzoli, che racconta: «Per tanto tempo, io stessa da studentessa di medicina non ho avuto la possibilità di studiare su un corpo umano donato. Dovevamo andare all’estero per avere accesso a corsi di alta specializzazione, spesso organizzati da centri privati. Ora, grazie alla legge del 2020, abbiamo finalmente una normativa moderna. Ed è significativo che tutto questo sia partito proprio da Bologna». La legge a cui Manzoli fa riferimento è la n.10 del 10 febbraio 2020, che disciplina la «disposizione del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, formazione e ricerca scientifica». Il testo stabilisce che il corpo venga utilizzato solo temporaneamente (massimo 12 mesi), al termine dei quali sarà restituito alla famiglia, cremato o tumulato in modo dignitoso a spese dell’istituto che lo ha ricevuto.

Ma come si fa a donare il corpo alla scienza? «È un iter simile al testamento biologico», spiega Manzoli. Il donatore deve esprimere in vita la volontà di donare il proprio corpo attraverso un atto pubblico o una scrittura privata autenticata. Il documento, firmato anche da due testimoni, deve essere depositato all'Ausl di residenza, che provvederà a inserirlo in una banca dati nazionale delle disposizioni post mortem (Dpm) – distinta da quella delle Dat, le disposizioni anticipate del trattamento, in pratica il testamento biologico. Quando avviene il decesso, il medico che certifica la morte si mette in contatto con il fiduciario del defunto, che a sua volta segnala l’atto di donazione. A quel punto viene allertato il centro di riferimento territorialmente competente. In Italia, oggi, i centri autorizzati sono dieci.

A Bologna, l’istituto accoglie le salme nella sede storica di via Irnerio 48. «Chi entra viene accolto da un lungo corridoio con le teche della collezione di crani di Calori, poi il museo delle cere e le sale moderne, pensate come vere e proprie sale operatorie, dotate di tecnologia d’avanguardia. È un luogo che custodisce la storia dell’anatomia italiana e al tempo stesso guarda al futuro», racconta Manzoli. Nel 2025 il ministero della Salute ha designato l’Emilia-Romagna capofila del progetto nazionale. Per lil consigliere Pd ed ex assessore regionale alla Salute Raffaele Donini si tratta di «un gesto di grande solidarietà, fondamentale per il progresso della medicina e la tutela della salute pubblica». Un gesto che può salvare vite, anche se non in senso diretto. Come ha ricordato Zuppi, «donare il corpo è sapere che qualcuno imparerà e potrà aiutare altri».