istituti penitenziari

Il carcere della Dozza - foto Ansa

 

«La cosa più devastante in carcere è che il tempo non ha significato, non ha senso», dice Gian Guido Naldi, uno dei fondatori di “Fare Impresa in Dozza”. Il progetto nato più di dieci anni fa che ha portato ad avere un’azienda nella Casa Circondariale di Bologna, dove attualmente 15 detenuti lavorano come operai metalmeccanici nel settore del packaging industriale. Di fronte alle drammatiche condizioni degli istituti penitenziari emiliano-romagnoli, quotidianamente riportate sulle testate nazionali e locali, tra emergenze psicologiche, igienico-sanitarie e sovraffollamento, dare un’opportunità contrattuale ai detenuti rappresenta una concreta soluzione per ridare loro dignità e offrire loro una possibilità reale di reinserimento nella società.

Le carceri sono ambienti ormai «tossici», per utilizzare un’espressione di Don Domenico, cappellano del Pratello, ostili e privi di prospettive. In questo contesto, dove il sovraffollamento ha raggiunto livelli indecenti, alla Dozza sono 853 i detenuti su una capienza totale di 500. “Fare Impresa in Dozza” continua a distinguersi come un’isola felice, offrendo ai detenuti l'opportunità di imparare un mestiere nel settore meccanico e costruire un futuro concreto e dignitoso al termine della pena.

L'idea iniziale è stata del professor Italo Minguzzi, oggi presidente onorario di Fare Impresa in Dozza. L’azienda in carcere ha poi preso forma con il supporto di Gian Guido Naldi e di tre grandi realtà industriali del territorio: Gd, Ima e Marchesini Group. È dal 2012 che i tre big del packaging hanno creato una società che opera direttamente all'interno della Dozza e che permette ai detenuti di lavorare e acquisire competenze concrete.

La selezione dei partecipanti avviene in collaborazione con l'amministrazione penitenziaria. Per ogni corso professionale, vengono segnalati circa venti detenuti, tra cui ne vengono scelti dodici. «Sappiamo che servono almeno due o tre anni per formare adeguatamente un lavoratore prima di proporlo a un'azienda», spiega Naldi. «Per questo motivo, selezioniamo chi ha ancora alcuni anni di pena da scontare, evitando chi ha pene troppo brevi o, al contrario, troppo lunghe. Ad esempio i condannati all’equivalente dell’ergastolo, ossia a trent’anni di reclusione».

I detenuti lavorano in azienda e vengono assunti con un regolare contratto di lavoro e imparano un mestiere nel settore del packaging industriale, un ambito complesso e altamente qualificato. «Si tratta di un lavoro artigianale organizzato con rigore industriale», precisa Naldi. «Ogni pezzo è diverso, e l'esperienza si accumula nel tempo, come un tempo avveniva nei laboratori artigianali».

I risultati ottenuti da “Fare Impresa in Dozza” parlano chiaro: il tasso di recidiva tra i detenuti che hanno partecipato al programma è inferiore al 15%, a fronte di una media nazionale che oscilla tra il 65% e il 70%. «Il lavoro però non è solo pratico, infatti riteniamo fondamentale impegnarsi ad offrire ai detenuti una ragione che gli spiga ad evitare di ricadere negli stessi errori» afferma Naldi. «Dare un'occupazione lavorativa significa offrire una prospettiva, ma anche restituire dignità e autonomia a chi ha sbagliato».

Il finanziamento del progetto arriva principalmente dalle tre aziende fondatrici e dagli incarichi di lavoro ricevuti dall’azienda. «Non siamo solo un ente assistenziale, ma anche un’impresa vera e propria», sottolinea Naldi. «Produciamo, fatturiamo e garantiamo ai nostri dipendenti uno stipendio regolare».

Ad oggi, oltre settanta detenuti hanno partecipato al programma e una trentina di ex detenuti hanno trovato un lavoro in aziende del territorio. Tuttavia, le difficoltà non si fermano all’ottenimento di un lavoro. «Abbiamo visto che non basta imparare un mestiere per essere accettati nella società», dice Naldi. «Esiste ancora uno stigma sociale che rende difficile la reintegrazione, e spesso il problema più grande è la solitudine». Per questo il supporto post-detenzione diventa essenziale, per accompagnare i detenuti nel ritorno alla vita quotidiana.