Carcere

Foto del Pratello (Ansa)

 

«I penitenziari minorili non sono più all’altezza della missione per la quale erano stati concepiti, ovvero al recupero della vita sociale degli adolescenti che hanno compiuto dei reati». Risponde così Don Domenico Cambareri, sentito da “InCronaca” sulla situazione attuale dei centri di detenzione per minori. Secondo il cappellano del penitenziario, che è anche parroco al Trebbo di Reno, chiesa di San Giovanni Battista, il sovraffollamento e la mancanza di risorse hanno trasformato le carceri minorili in luoghi di sola detenzione, rendendole troppo simili ai sistemi detentivi per adulti, facendo perdere la loro funzione educativa e riabilitativa.

È gravissima, infatti, anche la problematica del sovraffollamento. Attualmente, il Pratello ospita 53 ragazzi a fronte di una capienza regolamentare di 44 posti. «Sembrano cifre piccole, ma nell’economia di un istituto penale minorile sono enormi: è come passare da una classe di 20 studenti a una di 28, il carico di lavoro cambia drasticamente – spiega il sacerdote – La sproporzione tra il numero, le energie e le risorse disponibili per il recupero dei ragazzi rende la riabilitazione impossibile o comunque molto difficoltosa».

La denuncia del cappellano non riguarda solo le condizioni dei detenuti, ma anche il disagio vissuto dagli operatori del settore: «Ne soffrono innanzitutto le persone che lavorano nelle strutture detentive per minori, perché sono ormai diventati luoghi di grande frustrazione. Nonostante ci siano tante professionalità e tanta voglia di fare, mancano gli strumenti adeguati e necessari agli operatori per svolgere il proprio lavoro».

Don Domenico esprime poi grande preoccupazione per il trasferimento di alcuni detenuti dai 18 ai 25 anni alla Dozza, il carcere bolognese per adulti. «Il rischio di smantellare la giustizia minorile è dietro l’angolo ed è simbolicamente terribile». Per il parroco questa scelta aggraverebbe ulteriormente la situazione, mettendo a rischio il futuro di tanti giovani che avrebbero ancora una possibilità di riscatto. «Al momento la Dozza è un luogo provvisorio, il trasferimento dovrebbe durare fino a fine estate, questi ragazzi passano lì il tempo ad aspettare delle decisioni, non è semplice», ha poi dichiarato a La Repubblica.

Il cappellano ha anche evidenziato il problema della salute mentale all’interno delle carceri minorili. «Parliamo di ragazzi che hanno vissuto esperienze terribili di abbandono e di violenza, è un cocktail esplosivo. La situazione psichica di molti di loro è gravissima e, purtroppo, il carcere è diventato un luogo tossico per tutti, operatori compresi» Una realtà così logorante che ha portato, in alcuni casi, anche al suicidio degli stessi operatori.

L’appello del sacerdote va oltre la semplice denuncia. È stata infatti recentemente lanciata un’iniziativa di raccolta solidale per donare televisori, ma sono anche richiesti vestiti e beni di prima necessità da donare ai giovani detenuti. Don Domenico infatti sottolinea come «tantissimi ragazzi sono minori stranieri non accompagnati, non hanno una famiglia, nessuno che provveda a loro. Il carcere conferma due cose: che se sei povero ti fai la galera peggio degli altri e che, se sei solo, nessuno ti aiuta» Per questo motivo, ogni piccolo gesto di solidarietà può fare la differenza.

Nonostante le enormi difficoltà, esiste però un lato positivo, ci sono infatti esperienze virtuose all’interno delle carceri minorili che riescono a regalare piccoli attimi di svago e serenità sia ai ragazzi che agli operatori che si prendono carico dell’organizzazione e della gestione di queste attività. L’Unione Italiana Sport Per tutti (Uisp) di Bologna, per esempio, fa un lavoro eccezionale organizzando attività sportive che aiutano i ragazzi a rispettare le regole e a contenere le proprie reazioni aggressive. «Lo sport aiuta tantissimo. Attraverso i giochi di squadra, i ragazzi si abituano e ricevono un metodo educativo che li aiuta ad abituarsi a uno stile di vita corretto e in armonia con la società». Inoltre, gli Istituti penitenziari minorili offrono percorsi scolastici e professionali, tra cui corsi di ristorazione e formazione edile tramite l’Iipel, ossia la scuola Edile di Bologna. «Le grandi proposte ci sono e vengono apprezzate dai ragazzi, ma il problema è riuscire a tenerli impegnati con attività di qualità. È però capitato che alcune volte queste attività venissero sospese. Quando succede, i ragazzi rimangono in cella ed è la cosa peggiore. La noia è devastante, specialmente per soggetti della loro età». Per molti di questi giovani detenuti, l’impossibilità di poter accedere a un profilo Instagram e la quasi totale mancanza di connessione a internet pesa più della privazione stessa della libertà. L’isolamento digitale amplifica il senso di esclusione, rendendo la detenzione ancora più alienante e difficile da sopportare.

Per Don Domenico, la soluzione passa attraverso un maggiore investimento sulle comunità educative. «Il carcere deve essere solo una tappa necessaria per chi rappresenta un pericolo, ma poi servono comunità educative dove i ragazzi possano svolgere attività e avere un’alternativa concreta alla vita di strada». In questo senso, si potrebbero adottare pene alternative e ridurre il numero dei detenuti, ma servirebbe una volontà politica e culturale forte. «I diritti dei detenuti non portano voti», afferma amaramente il cappellano.