Export
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Il 29% delle aziende emiliano-romagnole è vulnerabile ai dazi americani. Così l’ultimo rapporto di Unioncamere dà la misura dei timori delle imprese per le tariffe annunciate (e già rinviate di 90 giorni) dal Presidente Usa Donald Trump. Per l’economia dell’Emilia-Romagna è innanzitutto una questione di ordini di grandezza. Gli Stati Uniti, sono infatti il mercato di destinazione più importante per i prodotti della regione, con l’export a stelle e strisce che vale più di 10 miliardi.
Come racconta Guido Caselli, direttore del Centro Studi di Unioncamere, «in Emilia-Romagna ci sono circa 5.800 imprese che esportano negli Stati Uniti e per 1.256, il 29%, il commercio con gli Usa vale fra il 15% e il 33% del fatturato, se non addirittura di più». Per capire la reale portata del dato è importante tenere conto del peso specifico di questo gruppo di aziende. Ne fanno parte tanti dei grandi gruppi industriali della regione che, se considerati complessivamente, fatturano più di 50 miliardi e danno lavoro a 150.000 persone.
In attesa di capire se il dietrofront della Casa Bianca sulle tariffe doganali sarà definitivo o meno, sono tanti i settori che restano con il fiato sospeso. «Verrebbero colpite in modo pesante le attività collegate alla meccanica. Per esempio risultano esposte il 43% delle aziende del settore delle macchine agricole e il 33% di quelle dell’automotive», commenta Caselli. Fra i comparti vulnerabili troviamo inoltre l’indotto del packaging, il biomedicale e l’agroalimentare, con percentuali di dipendenza dal mercato americano che variano fra il 35% e il 30%.
Uno dei principali obiettivi dietro il sistema di dazi annunciato da Trump nel cosiddetto “Liberation day” è quello di spingere le aziende a produrre direttamente negli Stati Uniti e per tante realtà emiliano-romagnole la delocalizzazione verso l’altra sponda dell’Atlantico potrebbe essere più di una tentazione. Come racconta Caselli, infatti, «in Emilia ci sono 138 imprese di proprietà americana, sono tutte strutturate e nel complesso valgono circa sei miliardi di ricavi. In aggiunta, altre 413 aziende della regione hanno delle controllate negli Usa, per queste potrebbe essere più facile valutare uno spostamento oltreoceano».
Se c’è chi guarda con favore a produrre direttamente sul suolo americano, ci sono anche marchi alla ricerca di nuovi mercati. Con l'intensificarsi della guerra commerciale con Washington, tanti imprenditori stanno pensando a diversificare i paesi di destinazione delle proprie merci, con le economie emergenti dei Brics che offrono possibilità di espansione che un mercato europeo ormai saturo non è più in grado di garantire.
In questo tempo sospeso in cui è sempre più complesso leggere le mosse dell’amministrazione Trump, l’unica certezza per Caselli è che la mancanza di chiarezza sulla politica economica della Casa Bianca nuoce alle aziende: «Veniamo già da un periodo in cui le aziende non investivano e finché permarrà questo clima di incertezza sarà sempre più difficile farlo. L’insicurezza è peggio di una brutta notizia perché con una brutta notizia gli imprenditori si allacciano le scarpe e vanno avanti. Qualcosa succederà bisogna vedere come saremo in grado di reagire».