Terrorismo

«Posso solo ringraziarvi per aver fatto sì che, dopo 45 anni, ci si ricordi ancora di Graziella Fava», dice il figlio Emilio Baravelli prima che la sua voce si rompa in un pianto di commozione. Era il 13 marzo 1979 quando sua madre Graziella morì in seguito a un attacco di tre terroristi del gruppo di estrema sinistra Gatti Selvaggi, che incendiarono la sede dell’Associazione stampa Emilia-Romagna e Marche (Asem), il sindacato regionale dei giornalisti, in via San Giorgio 6. È passato molto tempo, ma la città di Bologna sceglie ancora una volta di ricordare una delle tante vittime della violenza di quegli anni. Lo fa con una targa commemorativa, scoperta oggi proprio in quella vecchia sede, alla presenza delle autorità e di numerosi giornalisti.

«È un cerchio che si chiude, anche se non del tutto – sottolinea Silvestro Ramunno, presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna –. Non sappiamo ancora chi siano i colpevoli di quell’atto vile». Questo, in ogni caso, è un «abbraccio simbolico ma fortemente sentito dalla città e dall’Amministrazione», come ribadisce Massimo Bugani, assessore alla Comunicazione. 

Un risultato, quello della targa, da attribuire al lavoro sinergico dell’Associazione stampa Emilia-Romagna e dell’Ordine dei giornalisti, che esattamente un anno fa si erano ripromessi di fare, ancora una volta, un tributo alla donna. La storia di Graziella Fava, forse poco conosciuta rispetto ad attentati più rumorosi, «è una lacuna che oggi può iniziare a essere colmata», dice il presidente Aser Paolo Maria Amadasi. L’ennesima ferita della Bologna degli anni Settanta e Ottanta, forse destinata a rimanere aperta, perché i tre colpevoli non sono mai stati individuati.

All'interno del sindacato si trovavano un impiegato e la vedova di un giornalista, che era lì per chiedere alcune informazioni. I tre terroristi – due uomini e una donna – li rinchiusero in uno stanzino, prima di lanciare una bomba al fosforo che incendiò il sindacato. I vigili del fuoco riuscirono a trarre in salvo le due persone nel sindacato, ma nel frattempo il fumo aveva invaso il piano superiore. Qui, la cinquantenne Graziella Fava era riuscita a mettere in salvo la donna 82enne che accudiva e sua figlia, ma non era riuscita a scappare in tempo da quel pianerottolo dove respirare era ormai impossibile.

La città, però, la ricorda ancora. Lo faceva già con il giardino Fava, in via Milazzo, che in futuro ospiterà anche un memoriale con qr code per fare scoprire ai curiosi la figura della donna, legata non solo all’attentato terroristico, ma prima ancora al suo lavoro di cura, lo stesso che oggi molte donne continuano a ricoprire, spesso con scarsa considerazione da parte degli altri.

L’attacco del ’79 si inserisce in un più generale attacco alla stampa e alla libertà di stampa – «perché solo con la stampa libera e una cittadinanza informata può esserci democrazia», ricorda Ramunno – che vide a Bologna coinvolti, solo pochi giorni dopo, altri due giornalisti, Eneide Onofri dell'Avanti e Gian Luigi Degli Esposti del il Resto del Carlino, fortunatamente rimasti illesi.

«Allora c’erano i partiti, c’erano le associazioni – dice Davide Baruffi, sottosegretario alla presidenza della Regione – mentre adesso siamo più deboli ad attacchi di questo tipo. La storia ha bisogno di buoni scolari – conclude – ed è quello che stiamo provando a fare oggi».

E infatti quella targa, alla quale alcune persone già oggi guardano con commozione, come una pietra d’inciampo continuerà a ricordare ai passanti la storia di Graziella.

 

Nell'immagine, da sinistra, la nipote Graziella, il figlio Emilio, l'assessore Bugani, il presidente OdG E-R Ramunno e il sottosegretario Baruffi. Foto di Giuseppe Nuzzi