Quindici

Quello dell'anno passato è il dato più alto degli ultimi sei anni. La stima è però positiva rispetto all’Europa, dove siamo al diciannovesimo posto nel rapporto tra tasso di morti volontarie sui binari e numero di abitanti. Un giornalismo responsabile è importante per parlarne senza creare emulazione.

L’annuncio dagli altoparlanti della stazione è noto a chiunque sia stato pendolare: si avvisano i viaggiatori del ritardo o dell’interruzione temporanea di una linea per “accertamenti dell’autorità giudiziaria dovuti all’investimento di una persona non autorizzata sui binari”. Ma la percezione che questi annunci vengano fatti spesso corrisponde alla realtà? Quanti di questi sono solo incidenti, e quanti invece sono atti volontari? Proprio questa prima distinzione è fondamentale per comprendere meglio il fenomeno. Nella categoria degli “investimenti” annunciati da quell’altoparlante, infatti, rientrano diverse casistiche, tra cui gli incidenti gravi, quelli non gravi e i suicidi.

L’Agenzia nazionale di sicurezza ferroviaria (Ansfisa) pubblica report annuali sugli incidenti significativi avvenuti sulla rete – dove per “significativo”, viene specificato nel report, si intende un evento «con morti o feriti o danni ingenti al materiale o interruzioni prolungate del servizio». Essendo l’obiettivo di queste rilevazioni il miglioramento della sicurezza sulla rete, però, i report non includono gli atti volontari, ovvero i suicidi, per i quali il discorso si fa più complesso. È abbastanza difficile, infatti, reperire informazioni certe sul numero annuo di suicidi sulla rete ferroviaria italiana. Istat disaggrega parzialmente i dati relativi al totale degli atti autolesivi mortali, per tracciare una panoramica dello stato di salute della popolazione e, come specificato sul sito dell’Istituto, “rispondere alle esigenze di programmazione sanitaria di un Paese”. Tuttavia, dati troppo disaggregati potrebbero permettere l’individuazione delle singole persone, rappresentando un problema di privacy: per questo motivo, i suicidi su rete ferroviaria sono inclusi da Istat nella categoria “scontro con veicolo”, accorpandoli quindi a metropolitane, automobili, tram e autobus. Secondo le rilevazioni dell’istituto, nel 2021 sarebbero state 101 le persone morte volontariamente in uno scontro con veicolo: una costante diminuzione a partire dalle 138 del 2017, con l’eccezione delle 88 morte nel 2020 – anno in cui il traffico era però estremamente ridotto a causa della pandemia. I dati riportati dall’Agenzia dell’Unione europea per le ferrovie (Erail) si riferiscono invece specificatamente al numero di suicidi sulla rete ferroviaria, ma sono discordanti rispetto a quelli italiani.

In primo luogo, infatti, nel 2021 Erail ha rilevato in Italia 132 morti volontarie su rete ferroviaria (31 in più di quelle che, secondo Istat, dovrebbero essere avvenute genericamente in uno scontro volontario con un veicolo), dato rimasto stabile nel 2022, con 129 morti. Stando alle rilevazioni della Polizia ferroviaria il 2023 è stato un anno particolarmente negativo, con un totale di 154 suicidi. La tendenza quindi non sembrerebbe essere in calo, collocandosi stabilmente da almeno dieci anni tra le 110 e le 140 morti all’anno – con le drammatiche eccezioni del 2016 e del 2017, rispettivamente con 165 e 176 morti. Si tratta di circa il 3% dei suicidi in Italia, dal momento che il totale attestato da Istat si aggira intorno alle 3.870 morti volontarie in un anno.

Semplificando, significa che da dieci anni una persona muore suicida sulla rete ferroviaria italiana in media ogni due giorni e mezzo. Inoltre, la stima è parzialmente aggravata dal fatto che negli ultimi otto anni la popolazione italiana è calata di circa 1,8 milioni di persone, il che aumenta leggermente il tasso di suicidi rispetto al numero di abitanti. Il rapporto tra il tasso di suicidi e il totale della popolazione di un Paese, peraltro, è la chiave per avere un quadro più chiaro a livello europeo: infatti, anche se in Europa l’Italia si colloca al sesto posto per numero di morti volontarie su rete ferroviaria (a seguito di Germania, Francia, Slovacchia, Paesi Bassi e Polonia; prima della Brexit c’era anche il Regno Unito), ogni dato ha poco valore se non viene messo in relazione con il numero di abitanti del Paese a cui si riferisce. In generale, in Europa le morti volontarie sulla rete ferroviaria si aggirano tra le 2.200 e le 2.800 all’anno; questo significa che, in un anno, in media più di sei persone al giorno interrompono volontariamente la propria vita su una ferrovia europea. Il tasso suicidario è però il vero indice dello stato di malessere di una popolazione e, per questo, per ogni Paese è interessante soprattutto calcolare il numero di suicidi ferroviari ogni 100.000 abitanti. Così facendo, emerge in realtà una situazione abbastanza positiva per l’Italia che, relativamente al resto d’Europa, nel 2021 si trovava in diciannovesima posizione su ventisette Paesi membri, con un tasso di 0,22 suicidi ogni 100.000 abitanti. Al primo posto si trova invece la Repubblica Ceca, con un tasso di 1,53, seguita da Svizzera, Ungheria, Slovenia e Paesi Bassi.

Al di là dei dati e delle statistiche, però, restano da indagare i fattori pratici e psicologici che spingano una persona a scegliere di morire sui binari di una ferrovia. La questione, tutt’altro che banale o morbosa, è fondamentale per individuare strategie funzionali a prevenire il suicidio non solo nella sua fase di ideazione, ma anche in un’eventuale fase di attuazione. Secondo uno studio condotto nel Regno Unito nel 2017 e pubblicato dalla Cambridge University Press, infatti, i motivi della scelta di questa modalità sono ancora poco chiari e non abbastanza indagati. Lisa Marzano, Jay-Marie Mackenzie, Ian Kruger, Jo Borrill e Bob Fields – autrici e autori dello studio – hanno dunque intervistato alcune persone e divulgato un questionario online rivolto a chi avesse tentato il suicidio o avuto pensieri suicidari, per cercare di individuare cosa incoraggiasse o scoraggiasse la scelta di tale modalità. Tra gli elementi a sfavore della scelta di una stazione ferroviaria, i partecipanti hanno sottolineato soprattutto l’impatto traumatico sugli astanti e la maggiore comodità di altri metodi; tra i motivi a favore ci sono invece il falso mito di una morte così veloce da non essere percepibile, la familiarità con le stazioni ferroviarie e la scarsa probabilità che qualcuno possa intervenire o che un conoscente possa essere presente. Generalizzando, dallo studio sembra insomma emergere che le ferrovie siano percepite come un luogo facilmente accessibile, conosciuto ma lontano dagli affetti, dove è raro che avvenga un intervento tempestivo per impedire atti autolesivi. È interessante notare che tra gli elementi percepiti come facilitanti c’è anche l’influenza dei media: dodici partecipanti al sondaggio hanno menzionato che ricerche online sul tema hanno influenzato la loro decisione di contemplare o tentare il suicidio sulla rete ferroviaria. Il tema si lega al ruolo dei giornali nella prevenzione al suicidio: già nel 2008, l’Organizzazione mondiale della sanità avvertiva i media del loro ruolo significativo giocato sugli individui vulnerabili. “I giornalisti hanno l’obbligo di essere cauti nel riportare i casi di suicidio – riporta la pubblicazione dell’Oms – bilanciando il diritto all’informazione con il rischio di nuocere”. Questo perché, prosegue l’Oms, individui vulnerabili possono essere spinti a comportamenti emulativi, “soprattutto se sviluppati in maniera estensiva, preminente, sensazionalistica e/o che descriva esplicitamente il mezzo utilizzato per togliersi la vita”. Tuttavia, conclude l’Organizzazione, “un giornalismo responsabile può essere utile a educare il pubblico e può incoraggiare le persone a rischio a chiedere aiuto”.

 

Se hai bisogno di parlare con qualcuno, o conosci qualcuno che ha pensieri suicidi, puoi contattare gratuitamente tutti i giorni dalle 10 alle 24 il Telefono Amico al 0223272327 (anche su Whatsapp, al 3240117252) o i Samaritans, che rispondono tutti i giorni dalle 13 alle 22 al numero verde gratuito 06 77208977 da cellulare o telefono fisso

 

Foto di Francesco Paggiaro in Licenza Creative Commons 

Questo articolo è già uscito nel supplemento "Quindici" lo scorso 27 marzo