Il libro
«La polizia agisce come catena di trasmissione delle visioni e dei valori che le sono propri contribuendo a plasmare e difendere un ordine sociale gerarchico». È questa in sintesi la tesi espressa dai tre autori, Giulia Fabini, Enrico Gargiulo e Simone Tuzza, nel libro "Polizia. Un vocabolario dell'ordine", edito da Mondadori. Il volume è stato presentato questa mattina a Palazzo Hercolani.
Di questa tematica, e del libro, InCronaca ha parlato con Enrico Gargiulo, uno deelle tre firme che è anche professore associato di Sociologia generale nel Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell'Università di Bologna.
Nel libro spiegate come la polizia difenda un ordine costituto tramite i suoi valori e modi di agire. In questo modo essa influenza la politica? Oppure è influenzata?
«C’è una dinamica ambivalente. Nel senso che c’è una influenza reciproca. La polizia è una istituzione e può esercitare una pressione sulla politica. Ci sono dei casi storici che lo dimostrano. E poi bisogna dire che le forze dell’ordine sono politiche nel senso che esprimono delle visioni e delle idee».
La cultura mostra questa dinamica delle forze di polizia come difensori dell’ordine sociale? Penso ai film o alle serie tv. I prodotti culturali sono più spesso favorevoli o critici verso le forze dell’ordine?
«Sicuramente, tanti film o libri la raccontano. Poi sull'essere favorevoli o meno c'è molta variabilità. Il punto è che quando fai una critica della polizia in Italia, soprattutto a livello cinematografico, trovi dei problemi. Vicari, il regista che ha fatto il film sulla Diaz, ha avuto difficoltà enormi nel completare quel film».
Ci sono stati dei poliziotti che hanno compreso di essere parte della dinamica che raccontate? E che hanno provato a uscirne?
«Storicamente sì, nel senso che la riforma della polizia fatta nel 1981, e che è raccontata molto bene da Michele di Giorgio, è frutto anche di testimonianze ed esternazioni fatte da anonimi poliziotti o carabinieri che furono raccolte dal giornalista Franco Fedeli. Queste dichiarazioni raccontavano vessazioni compiute oppure subite da superiori al lavoro, in condizioni molto difficili. E certamente ci saranno anche adesso persone che hanno da ridire rispetto all’istituzione di cui fanno parte. Non è facile intercettarli, e spesso quando vengono allo scoperto sono poco pubblicizzati».
Quindi ci sono poliziotti consapevoli di questa dinamica? Sono partecipi?
«Io credo che ci sia una profonda inconsapevolezza. Molte persone che lavorano nel campo della sicurezza credono alla rappresentazione del mondo fatta di bene o male, ritengono veramente di combattere i cattivi. Se li mettessimo di fronte a una prospettiva diversa, quella in cui loro difendono un ordine gerarchico con le sue disuguaglianze e contraddizioni, penso che molti rimarrebbero scioccati e inizierebbero a riflettere diversamente».
Foto di Federico Iezzi. Nell'immagine i tre autori.