Quindici

Non è un’ipotesi né una previsione. Lo spreco d’acqua in Italia è ormai un retaggio, una vexata quaestio che prefigura e configura una realtà consolidata, allarmante e disarmante. Secondo l’ultimo report dell’Istat – presentato il 21 marzo 2023, in occasione della giornata mondiale dell’acqua –, infatti, nel 2020 è andato perso il 42,2% delle risorse idriche immesse in rete. Stiamo parlando di 3,4 miliardi di metri cubi, ovvero 157 litri al giorno per abitante. Un dato pressoché stabile se confrontato con quello del 2018 che si attestava al 42%, ma che presenta una fotografia impietosa: il volume di acqua disperso potrebbe soddisfare le esigenze idriche di oltre 43 milioni di persone per un anno. Quella delle perdite nella rete è una piaga che investe l’Europa in generale, con medie percentuali che vanno dal 5 al 50%, per un totale di 84 miliardi di tonnellate annue, secondo una stima del Global institute for Water dell’Università canadese del Saskatchewan.
Tutta l’Italia, con differenze sostanziali tra un nord che riesce a contenere e, in certe zone, a marginalizzare il fenomeno e centro e sud che arrancano. Sono, infatti, Mezzogiorno e isole a presentare le maggiori criticità: la Basilicata, per esempio, ha registrato perdite idriche totali in distribuzione pari al 62,1%, seguita a ruota dall’Abruzzo con il 59,8%, dalla Sicilia con il 52,5% e dalla Sardegna con il 51,3%. Risalendo lo Stivale, tranne il Veneto che arriva al 43,2% e il Friuli-Venezia Giulia che si attesta sul 42%, quindi perfettamente in linea col dato nazionale, tutte le altre regioni fanno registrare livelli contenuti. L’Emilia-Romagna si attesta al 30%, ma in quest’ottica le più virtuose sono la Provincia autonoma di Trento, 19%, e la Valle d’Aosta, in cui la dispersione è al 23,9%. Per definire i contorni e le cause di questo fenomeno, però, è necessario fare un passo indietro e chiarire un punto. Quello presentato da Istat nei vari report annuali è un dato che si riferisce al volume delle perdite idriche totali nella distribuzione, cioè la differenza tra i volumi immessi in rete e quelli effettivamente erogati. Ma non è l’unico ente ad occuparsi di redigere prospetti ed elenchi, poiché nel 1995, mutatis mutandis, è stata istituita Arera, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente. Un organo che opera di concerto con Governo e Parlamento e che svolge operazioni di controllo. Proprio per questo motivo e per far sì che all’utente venga offerto un servizio ottimale, Arera ogni anno stila una classifica in cui vengono valutate e inserite le performance dei gestori idrici. Per definire la prestazione di ciascun soggetto vengono presi in esame due indicatori: quello delle perdite idriche percentuali, che si ottiene dal rapporto fra volumi prelevati o fatturati fratto i volumi immessi in rete e quello delle perdite lineari, che si riferisce ai metri cubi che ogni giorno vengono dispersi sulla rete per i chilometri totali della stessa in un determinato anno. Questo è utile (quando non necessario) per comprendere e discernere le discrepanze che emergono quando si prendono in esame i numeri di entrambi gli enti. «Da qualche anno – sostiene Paolo Gelli, Responsabile operations idrico per l’area Bologna del Gruppo Hera – l’Authority ha dato stabilità al Servizio Idrico e ha introdotto parametri oggettivi di valutazione della qualità tecnica su tutto il territorio nazionale. Questo ha permesso di fare un po’ di chiarezza sugli indicatori, perché prima, a seconda dei report che uscivano, i numeri potevano essere interpretati diversamente. Oggi Arera dice a tutti i gestori del servizio idrico integrato (che si occupa della gestione nel proprio territorio di competenza di acquedotto, fognatura e depurazione, ndr) che gli indicatori per monitorare le perdite sono due». Il motivo per cui si predilige un dato percentuale è spiegato dalla facilità della comprensione e dall’immediatezza della sua lettura. Apparentemente non lascia spazio a interpretazione diverse o ambigue. «Le perdite lineari sono più difficilmente comprensibili nell’immediato rispetto a un dato percentuale – spiega Marialuisa Campani, Responsabile area servizio idrico integrato di Atersir (Agenzia territoriale dell’Emilia-Romagna per i servizi idrici e i rifiuti) – ma da un punto di vista tecnico, a seconda della situazione, è più significativo come dato. Nell’ambito della qualità tecnica c’è una sorta di matrice, quindi una tabella con le perdite lineari su una colonna e le perdite percentuali su una riga e il risultato dell’incrocio delle due voci dà la classe in cui è presente il gestore. Questo dato definisce la qualità della gestione delle reti da parte di ogni azienda di riferimento. C’è, per questione di leggibilità, anche un dato medio percentuale sulla regione, ma di fatto il dato significativo è quello suddiviso per gestore. Le perdite definite da Istat sono leggermente diverse, di solito cala mezzo punto percentuale nei nostri territori, perché fa valutazioni diverse da quelle del Regolatore». Entrambi gli indicatori, però, tengono o dovrebbero tenere conto delle caratteristiche geomorfologiche dei territori, oltre che di quelle tecniche della rete e meteo-climatiche. Ogni gestore, a livello regionale o nazionale, ha a che fare con un territorio differente in cui cambiano le condizioni del terreno e quelle dell’infrastruttura. Da qui la differenza fra i dati di regioni, comuni e capoluoghi. È questo il motivo per cui a Milano le perdite percentuali sono al 14%, a Bologna al 27,8%, ad Aosta al 41% (in controtendenza rispetto al dato regionale), a Campobasso al 55,6%, a Catania al 51,3%, a Messina al 52,4%, a Chieti al 71,1% e a Potenza al 63,9%. «I dati degli indicatori risentono molto delle caratteristiche territoriali in cui i gestori operano – prosegue Gelli –. L’indicatore percentuale delle perdite, per esempio, può essere influenzato nel caso di contesti urbani caratterizzati da volumi alti su pochi chilometri di rete, come per esempio quelli che caratterizzano il contesto della città di Milano, (gestito per il servizio integrato da Metropolitana milanese), con poco più di 2.200 km di rete idrica, molto diverso dal contesto gestito da Gruppo Hera con reti fortemente estese (28.000 chilometri), con densità molto differenti tra pianura e montagna. Le differenti tipologie di contesto spiegano in parte le differenze in termini dei diversi indicatori sulle perdite, con un apparente “vantaggio competitivo” per un contesto come quello milanese, dal punto di vista delle perdite idriche percentuali. Se si guardano però le perdite idriche lineari, dove i chilometri stanno al denominatore, Milano arriva a circa 33,10 metri cubi per chilometro al giorno quando Bologna è sui 7,86». Questo rovescia la piramide e dà un’immagine diversa della gestione del servizio idrico dal punto di vista qualitativo ed è, inoltre, il motivo per cui cambia, da città a città, il dato. A livello fisico, dunque, la conformazione e le caratteristiche del terreno influiscono positivamente o negativamente sull’immissione dell’acqua nelle tubazioni, andando a impattare o inficiare sul percorso della stessa. «Quello che cambia è sicuramente la tipologia di terreno – continua Campani – il fatto di essere in pianura piuttosto che in zone collinari e avere delle pendenze differenti. Nei momenti in cui abbiamo periodi prolungati di siccità i nostri terreni prevalentemente argillosi tendono a seccarsi e si creano quelle specie di crepe poligonali. Il terreno si secca tantissimo e questo fa sì che si compatti, cambiando significativamente la sua conformazione e andando così a sollecitare le tubazioni. Questo può portare alle rotture, ed è uno dei motivi per cui in estate se ne vedono di più in giro. L’argilla incorporando acqua aumenta notevolmente di volume e questo impatta notevolmente sulle tubazioni. Cambiano banalmente anche i sistemi di alimentazione: se io riesco ad avere dei sistemi per cui la pressione nelle reti rimane costante evito i cosiddetti colpi d’ariete (quel fenomeno idraulico che si presenta quando in un condotto quando il flusso di liquido in movimento all’interno viene interrotto in modo abrupto dalla chiusura estemporanea di una valvola, ndr). Quindi, le reti risentono meno di eventuali variazioni. Se, invece, ho variazioni significative di pressione la rete è più sollecitata». Questi però sono solo alcuni dei motivi che causano tanta dispersione. Da aggiungere al novero ci sono anche l’obsolescenza dell’infrastruttura, gli sbalzi di temperatura improvvisi, la corrosione chimica e, non ultimo, l’impatto del transito di mezzi pesanti e non sulle strade. Tutti gli sforzi dei fornitori di servizi – seguiti pedissequamente da Arera e Atersir per la sola Emilia-Romagna – sono volti alla risoluzione di questo problema. La lunghezza dell’infrastruttura (28mila chilometri) porta a ripensare costantemente la gestione, puntando su un monitoraggio ottimale e mirato delle perdite attraverso l’impiego di diversi sistemi, sia tradizionali che innovativi oltre che sulla sua divisione e distrettualizzazione. Frammentare la rete dell’acquedotto significa suddividerla in settori ben definiti su cui vengono installati misuratori di portata con i quali si controllano maggiormente i consumi d’acqua notturni. Questo permette di verificare eventuali anomalie che evidenziano una rottura in quel settore o distretto preso in esame. Questo screening è possibile fondamentalmente grazie all’utilizzo di tecniche particolari, come quella basata sui sistemi acustici, in cui l’acqua che fuoriesce da una falla o foro genera un “rumore” la cui individuazione è possibile grazie ad aste geofoniche (che consentono l’ascolto e la conseguente localizzazione della perdita idrica). C’è però un altro futuristico e futuribile ambito di specializzazione in cui Hera è entrata ormai da anni ed è quello che prevede l’utilizzo della tecnologia satellitare. Sviluppata in collaborazione con Asterra (la società israeliana nata come Utilis) che l’ha creata nel 2013 con l’obiettivo di studiare e scandagliare la superficie di Marte alla ricerca di depositi di ghiaccio. Nel 2016 le due aziende hanno avviato un nuovo progetto di business, incentrato sul rilevamento di perdite idriche nelle tubature sotterranee tramite l’acquisizione di immagini da parte dal satellite Alos-2 gestito dalla Japanese Aerospace Exploration Agency (Jaxa), in orbita a circa 650 chilometri sopra la terra, che utilizza segnali elettromagnetici con una lunghezza d’onda in grado di penetrare il terreno. I dati ottenuti attraverso la scansione vengono ripuliti dalle informazioni distorte e incrociati con lo schema della rete, individuando una mappa nella quale sono evidenziati i punti della rete in cui sono presenti possibili perdite. La parte quasi asimoviana riguarda la rilevazione dell’acqua nel terreno attraverso neutroni liberi, particelle provenienti dallo spazio, che vengono assorbite dall’idrogeno presente nell’acqua. L’unione di metodi tradizionali e innovativi è la soluzione adottata da Hera per sopperire al problema e, in futuro non troppo lontano, risolverlo. «La nostra strategia è guardare sempre avanti – conclude Gelli –. Dobbiamo continuare a fare meglio, perché l’acqua è una risorsa preziosa e siamo in un momento di crisi climatica per cui questo sarà sempre più un bene essenziale da preservare. Oltre a continuare sulla via della distrettualizzazione e smartizzazione delle reti per consentire un maggiore controllo, quello su cui puntiamo, con l’avallo dell’Autorità, è la sostituzione progressiva dei contatori. Puntiamo alla sostituzione massiva entro il 2030 di 250mila contatori domestici. Più è precisa la misura e più abbiamo la possibilità di avere dati affidabili per progredire nel miglioramento costante dell’attività di gestione della rete e anche della sensibilità degli utenti a tutelare la risorsa, grazie alla possibilità di consultare in tempo reale il diario dei consumi. Inoltre, abbiamo di recente interloquito anche con Eni per sperimentare a Bologna un sistema già in uso sugli oleodotti, che si basa sulle vibrazioni elaborate da algoritmi di intelligenza artificiale in grado di correlare le misure con quelle provenienti da strumenti fissi, così da restituire la localizzazione della perdita con una certa accuratezza». È un lavoro di limatura della soluzione quello portato avanti da Hera, che parte dalla conoscenza precisa del problema. L’ingente investimento, oltre un miliardo di euro destinato al ciclo idrico integrato nel quinquennio 2022-2026 (190 milioni impiegati dalla multiutility nella città Metropolitana di Bologna), e i fondi del Pnrr potrebbero portare al punto sperato. Il rammendo, dunque, non è più una l’unica soluzione percorribile.
Questo articolo è già stato pubblicato nel numero 13 di Quindici, il bisettimanale di InCronaca, in data 14 dicembre 2023.
Nell'immagine, una tubatura danneggiata. Foto Ansa