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Sono stati istituiti per rendere la giustizia più efficiente. L’hanno fatto, ora senza la certezza del posto fisso migrano altrove. Ad oggi sono 2.414 coloro che hanno abbandonato i tribunali in tutto il Paese. Sono gli addetti all’ufficio per il processo (Upp): dipendenti pubblici assunti nel 2022 con i fondi del Pnrr per supportare il lavoro dei magistrati. Risorse preziose per i tribunali e le corti che, stando ai dati pubblicati dal ministero della Giustizia, hanno contribuito a velocizzare lo svolgimento dei processi. Gli addetti hanno in comune anni di studio, la vincita del concorso di selezione e, per alcuni, l’abbandono della carriera legale. E ancora i periodi di formazione on the job, la fatica per ambientarsi sul lavoro e spesso il trasferimento in un’altra regione. Ma anche i rapporti arricchenti con i colleghi e il piacere di svolgere un lavoro utile che gli permetta di aggiornarsi continuamente. Da ultimo il timore di arrivare alla scadenza. Infatti, il termine del loro contratto è fine di giugno 2026 e il Governo non ha dato risposte chiare sulla loro stabilizzazione. Prende tempo. Ma loro hanno bisogno di contare su un lavoro e un’entrata costanti.

Per questo il 30% degli 8.171 addetti all’Upp ha partecipato ad altri concorsi e ora ha un posto fisso all’Inps (Istituto nazionale della previdenza sociale) o all’Agenzia delle entrate. E fino a che la politica non decide per la loro assunzione a tempo indeterminato, il flusso in uscita non si fermerà. Anche al Tribunale di Bologna il trend si conferma: dal 2022 a oggi ci sono state 25 dimissioni. I lavoratori che hanno scelto di rimanere chiedono, insieme ai sindacati e ai magistrati (dell’Associazione nazionale magistrati), di avere un ruolo permanente nel settore giustizia. C’è la consapevolezza che senza la loro collaborazione, con l’attuale sottodimensionamento, si rischia il blocco del comparto. Ma cos’è l’ufficio per il processo? È un apparato disegnato dal Ministero della Giustizia nel 2014, sul modello britannico, con l’obiettivo di sveltire i procedimenti e di processare l’enorme arretrato dei tribunali e delle corti. Viene sperimentato all’inizio in alcuni uffici giudiziari di primo e di secondo grado e dal 2017 anche nelle procure. Ma, essendo su base volontaria, viene adottato da pochi. Quando con il governo Draghi l’efficientamento del comparto giustizia diviene condizione necessaria per ricevere i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il Governo riprende quell’idea e la riadatta alle richieste della Commissione Europea. Da febbraio 2022 tutti gli uffici devono avere, e hanno, addetti all’Upp. Anche se il numero previsto nel Pnrr, 8.717 fino al 2024, è durato solo il tempo delle graduatorie. Ed è stato così anche al Tribunale di Bologna. Qui «avremmo dovuto essere 210 - ricorda Pier Paolo Moro, 57 anni, ed ex addetto Upp alla terza sezione civile (specializzata in cause extracontrattuali) – di cui 122 in Tribunale e 89 in Corte d’Appello. Ma già il primo giorno non eravamo tutti. Alcuni avevano vinto altri concorsi per posizioni stabili. Avrebbero avuto una possibilità in più. Sapevamo che il nostro tempo come Upp era contato e lo è anche dopo la proroga».

Da bando, infatti, il contratto dei primi assunti doveva scadere a settembre 2024, poi lo slittamento al 2026. È stata una decisione della Commissione Europea che ha deciso di mettere da parte l’idea di sostituire gli attuali Upp con altri e di indire un bando per 4.000 persone così da colmare parte dei posti vacanti. «Io stesso - ammette Moro - nel 2023 ho concorso al bando Inps per il ruolo di consulente di prevenzione sociale e mi sono licenziato». Una scelta simile a quella di altre 25 persone tra civile e penale. I motivi sono molteplici. Spiega: «A parità di stipendio base, tra i 1.750 e i 1.800 euro, l’istituto previdenziale ha dei vantaggi: il premio per gli obiettivi raggiunti, la possibilità di fare carriera e alcune agevolazioni interessanti su prestiti, mutui e assicurazioni sanitarie. Il ministero della Giustizia non li prevede. Inoltre, dopo anni come navigator all’ufficio impiego cittadino, cercavo nuovi stimoli intellettuali e occasioni contrattuali. Da addetto all’Upp svolgevo compiti interessanti. Ero una figura di supporto alle attività del magistrato. Organizzavo la sua agenda, verificavo gli atti depositati dalle parti, studiavo i fascicoli, redigevo bozze di provvedimenti, anche decisori, ordinanze, decreti, sentenze, che poi venivano supervisionati e firmati dal magistrato. Inoltre, avevo un compito esclusivo: monitoravo le attività del magistrato. Raccoglievo il numero di sentenze svolte, cosa e quanto aveva fatto e le decisioni prese, per esprimerle in numeri statistici. E facevo lo stesso per l’intera sezione. Mi occupavo anche di aiutare la cancelleria: scrivevo i verbali di udienza e i provvedimenti presi non decisori, poi, una volta ricevuti, li scaricavo e li inscrivevo nei dispositivi informatici. Ero versatile. C’erano gli stimoli, ma non gli incentivi. Ora li ho trovati anche se questo ha voluto dire lasciare un buon gruppo di lavoro e fare il pendolare tra Bologna, casa, e Milano, dove lavoro». Moro ha compiuto la sua scelta, ma continua ad appoggiare le istanze degli Upp che lottano per restare. Quelli che si sono riuniti nel Comitato autonomo nazionale degli Upp. Antonella Guida, addetta in Corte di Cassazione rammenta che: «il comitato si è costituito dopo due mesi dall’assunzione. La nostra posizione era in bilico fin dal principio. Noi eravamo i “vincitori (del concorso, ndr) assunti a tempo determinato” e nel 2024 avremmo dovuto lasciare posto ad altri 8.329 scelti con un’altra selezione. Dopo pochi mesi dal concorso leggiamo sui giornali che sono cambiati i termini del Pnrr: chi di noi era avvocato, se voleva lavorare come Upp, doveva smettere di esercitare l’attività legale. Non avrebbe compromesso l’iscrizione all’Albo. L’incompatibilità è stata definita il 7 novembre 2021, non prima». Anche questo ha fatto cambiare idea ai selezionati. I superstiti si sono subito impegnati per chiedere la stabilizzazione.

Da lì sono iniziate le interlocuzioni con i sindacati e con i politici. «Nel viceministro della Giustizia, Francesco Sito, abbiamo trovato un interlocutore attento e molto disponibile. Lui ha la delega al personale e si sta occupando della nostra situazione. Ma – continua Guida – ci siamo rivolti anche ad altre forze politiche che possano intervenire con degli emendamenti. È stata decisiva la lettera che l’Associazione nazionale magistrati (Anm) ha inviato al ministro Carlo Nordio chiedendo prima la proroga, poi la nostra stabilizzazione. Ha riconosciuto il valore del nostro lavoro». Nella lettera del 22 ottobre l’Anm esplicita che «è anche grazie a loro se si evidenzia un calo delle pendenze, dell’arretrato e dei tempi di definizione dei giudizi» pur restando ancora sotto la soglia degli obiettivi concordati con la Commissione Europea. Nei primi tre mesi del 2023 il ministero ha registrato che il tempo medio di durata di un processo (disposition time) è più basso, -19,2% per il civile, e -29% per il penale, rispetto allo stesso periodo del 2019, quando gli Upp erano pochi. Sono percentuali positive considerando che il Pnrr prevede un taglio del 40% per il civile - tra primo grado, Corte d’Appello e Cassazione - e del 25% per il penale entro il 30 giugno 2026. Partendo dai vincoli europei, l’abbattimento dell’arretrato del 65% in primo grado e del 55% in appello, i risultati di questo semestre sono incoraggianti anche se le Corti d’Appello con un -33,77% procedono più lentamente dei Tribunali che contano un -19,7% rispetto al 2019. Davanti all’evidenza la politica si è mossa e lo scorso novembre la scadenza è stata spostata tra due anni.

Nel frattempo, il comitato non si arresta. «Portiamo avanti la nostra richiesta - continua l’addetta - affinché non siano due anni di immobilismo e di oblio, ma diventino tempo utile per capire come inserirci in modo stabile e sostenibile nell’organico della giustizia. Perché, dopo il 2026 i nostri stipendi non verranno più finanziati dall’Europa, ma dovrà provvedere lo Stato». Anche Debora D’Amico condivide le stesse preoccupazioni. Lei lavora nella terza sezione civile della Corte d’Appello di Bologna. «Amo questo lavoro – confessa – e non vorrei essere costretta a cambiare. Gli anni passati sono stati un sacrificio. Sono una “fuorisede” dagli anni dell’università. Mi sono trasferita qui dalla Calabria per studiare legge; dopo la laurea e l’iscrizione all’Albo degli avvocati ho scelto di restare. Ma la vita a Bologna costa e come collaboratrice non riuscivo a mantenermi. Gravavo sui miei genitori. Negli studi legali non ci sono orari e c’è una competizione quasi crudele. Ma è il sistema che lo permette. La carriera legale era il mio sogno, ma volevo un lavoro che mi gratificasse. In Corte d’Appello ho trovato gli stimoli che stavo cercando. Mi sono reiscritta all’università. Prima sarebbe stato impensabile, ora con un contratto da 36 ore settimanali, posso farlo. Ho anche un buon rapporto con colleghi con i quali collaboro per perché l’obiettivo è lo stesso: alleggerire il lavoro del magistrato e far avanzare le cause. I risultati ci sono». È così. Nei primi sei mesi del 2023 il numero di processi definiti infatti è superiore a quelli iscritti in Corte d’Appello dell’anno precedente nello stesso periodo. Vale anche per il Tribunale con l’eccezione del lieve calo dei processi definiti. È sceso anche il numero di procedimenti non definiti o non conclusi. Questo non sarebbe stato possibile senza il personale degli Upp. «Noi siamo arrivati dopo anni di pensionamenti e zero assunzioni. Nei tribunali e nelle corti c’è bisogno di personale - dice Moro – e se non ci stabilizzano, ci perdono. Non gli conviene». I numeri lo confermano: nel 2022 la scopertura era nel 22% e nel 2023, supera il 24%. Un aumento che è conseguenza di un pensionamento e delle dimissioni di alcuni funzionari giudiziari. La situazione è urgente e «il lavoro è tanto - ammette D’Amico - però mi sento valorizzata quindi non mi pesa. E lo stipendio è dignitoso. Come avvocato e collaboratrice ricevevo 1.200 euro al mese lordi con i quali, tolti l’affitto, le bollette e le tasse come la cassa forense, l’assicurazione e il commercialista, era difficile arrivare a fine mese. Ora ricevo 1.800 euro netti e ho comprato casa. Mi batterò per non perdere tutto questo». Intanto continuano gli incontri tra i membri del comitato e i sindacati. Il 2 febbraio, a Milano si sono trovati alcuni Upp con esponenti politici e sindacali della Cgil.

Se da un lato dal fronte delle stabilizzazioni per chi già lavora in Tribunale non emergono importanti novità, il nuovo bando per altri 4.200 addetti dell’ufficio del processo potrebbe arrivare a breve. Infatti, era atteso per fine 2023 e, dopo una serie di slittamenti, vedrebbe luce tra fine mese o al massimo i primi di marzo. Un intervento fondamentale che andrebbe a rafforzare l’organico della giustizia italiana senza però risolvere il problema della precarietà, anzi alimentandolo.

 

 

Nell'immagine l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023. Foto di Alessia Sironi

 

L'articolo è stato già pubblicato sul Quindici n. 16 del 15 febbraio.