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Non appena si entra nella sala del museo civico archeologico che ospita Indispensabile, la mostra di Giovanni Morbin, a colpire è l’ampiezza dello spazio espositivo, che otticamente si riempie man mano che si entra in contatto con le opere. Tutte diverse e, al tempo stesso, tutte accomunate dal tema centrale dell’esposizione: gli attrezzi e gli strumenti. La mostra si articola in tre sale, una all’interno della sezione preistorica dove le opere di Morbin si amalgamano perfettamente ai reperti del passato, generando un dialogo che perfeziona la conoscenza di quegli stessi reperti.

«Quando Capra mi ha chiesto di allestire a Bologna una mostra di Morbin ho subito accettato e, inevitabilmente, il pensiero si è rivolto al museo archeologico – ha raccontato Lorenzo Balbi, direttore del Museo di arte moderna e contemporanea di Bologna e direttore artistico di Art City – Una delle cose che da sempre mi ha colpito dei musei di archeologia è proprio l’esposizione degli oggetti e degli strumenti che in qualche modo, chiusi nelle teche, vengono privati della loro funzione originaria per asservire soltanto a quella estetica; e in questo senso è come se la teca si trasformasse in una prigione». Il lavoro di Morbin insiste proprio su questi temi, interrogandosi continuamente sugli oggetti in quanto tali, sulle loro funzionalità, ma al tempo stesso sulle potenzialità di creare arte e trasformarsi essi stessi in opere d’arte.

Eppure gli oggetti e gli strumenti creati dall’artista sono pensati, a differenza di quelli chiusi all’interno delle teche, per suscitare un utilizzo e un’interazione, seppur paradossale, con il pubblico.  È quello che accade con “Strumento a perdifiato”, un’opera simile al corno che si utilizza nelle orchestre classiche; lo spettatore è invitato a interagire con l’opera che però, in virtù della forma circolare, gli impone di parlare e ascoltare la propria voce, un invito a guardarsi dentro e ascoltarsi.

Oppure per quanto riguarda “L’angolo del saluto”, nato dall’idea di espandere concettualmente il volume del proprio corpo attraverso il gesto di alzare il braccio teso al di sopra della scapola, creando un’inconsapevole scultura modernista invisibile. L’artista cerca in questo modo di riappropriarsi di un gesto (il saluto romano) nella sua esclusiva valenza corporea, privandolo di quel significato politico che la società contemporanea si ostina a mitizzare. La scultura rappresenta l’angolo ideale per realizzare tale gesto e si trasforma in un supporto che lo spettatore può utilizzare per riprodurlo. L’elemento di minaccia e pericolosità è rappresentato dalla lama che percorre tutta la lunghezza della scultura: un monito che rammenta la necessità di prestare attenzione quando si assiste a eventi come quello dello scorso 10 gennaio a Acca Larenzia, quando centinaia di persone al grido di "camerati" hanno simultaneamente fatto il saluto romano per commemorare tre giovani militanti della destra capitolina, uccisi da un commando di estrema sinistra. 

La mostra comincia con tre quadri raffiguranti rispettivamente una mano, un volto e un braccio. Si tratta dei primi strumenti che l’essere umano ha avuto a disposizione e che hanno permesso nel tempo di creare altri strumenti, sempre più funzionali e specifici. Tra l’altro i quadri sono stati realizzati con il sangue dell’artista, tecnica che risponde ad un’altra esigenza di Morbin: quella di trasformare e espandere il suo stesso corpo in opera. A testimoniarlo ci sono le numerose performances che costellano la carriera dell’artista, come quella realizzata alle ex carceri militari di Lubjana, oggi Museo di Arte Moderna e Contemporanea. L’artista, ponendosi in contrasto alla decisione di demolire quell’edificio simbolo della libertà di espressione, rimase con il braccio cementato all’edificio per otto ore. «Questi lavori non li provo mai, quindi non so mai con certezza se riuscirò effettivamente a portare avanti l’impresa, e nelle ibridazioni è possibile anche che il progetto fallisca», spiega Morbin; si tratta un concetto, quest’ultimo, spesso estraneo all’arte che è solita considerare un’opera tale solo al momento della sua conclusione.

L’ingresso alla mostra è gratuito, dal 26 gennaio al 25 febbraio 2024.