Quindici

Accade spesso che la grande storia, quella dei personaggi importanti e degli eventi decisivi, si intrecci con la vita delle persone comuni. Uno di questi tanti casi in cui la vita di una persona qualsiasi tocca la storia dei “grandi”, o cosiddetti tali, è quello di Pantaleone de Bonis, soldato e falegname abruzzese che, nel 1940, costruì la bara del gerarca fascista Italo Balbo, uno dei quadrumviri della Marcia su Roma e ministro della Regia Aeronautica, morto in un incidente aereo mai completamente chiarito.

Pantaleone De Bonis è nato il 27 luglio del 1899 a Città Sant’Angelo (Pescara), in Abruzzo. La sua vita si dipana lungo alcuni degli eventi fondamentali del 900 italiano. Appena diciottenne combatté nella Prima Guerra Mondiale, come ricorda suo nipote Michele De Bonis, avvocato del Foro di Pescara: «Mio nonno era classe ’99 e fu chiamato alle armi nel 1917, dopo la disfatta di Caporetto. Combatté sul fronte del Piave e sul Montegrappa». Pantaleone si distinse sul campo e dopo il conflitto fu decorato con la Croce di cavaliere di Vittorio Veneto: «Diceva sempre di essere un cavaliere senza il cavallo», sorride il nipote. Terminata la Grande Guerra il soldato abruzzese fu dislocato in Africa, per la precisione in Libia che all’epoca era una colonia del Regno d’Italia. Qui prese parte alla campagna di pacificazione del territorio (1913-1921), alla soppressione della rivolta dei Senussi nei primi anni Trenta e, come racconta il nipote, «venne ferito da una scheggia che non gli fu mai estratta».

In seguito, De Bonis rimase in colonia e fu dislocato a Derna, Bengasi, Tripoli e Tobruk. E fu proprio in Africa che De Bonis ebbe modo di assistere e di essere partecipe di uno degli avvenimenti più importanti del ventennio fascista: la morte e i funerali di Italo Balbo. Si trovava infatti di stanza a Tobruk quando, il 28 giugno del 1940, diciotto giorni dopo la dichiarazione di guerra fatta da Mussolini a Inghilterra e Francia, l’aereo su cui volava Italo Balbo, un bombardiere S.M.79, fu abbattuto dal fuoco amico (ufficialmente per un tragico errore), la contraerea dell’incrociatore San Giorgio, che era posto a protezione del porto, mentre tornava da una incursione contro alcuni aeroporti inglesi in Egitto.

Italo Balbo era all’epoca uno degli uomini più amati e noti del regime fascista, secondo solo a Mussolini, che infatti era estremamente geloso della fama del gerarca ferrarese. Balbo era nato nel 1896 a Quartesana, in provincia di Ferrara. Prese parte alla Prima Guerra Mondiale, arruolato negli alpini e combattendo nel settore del Montegrappa. Dopo il primo conflitto fu uno dei fascisti della prima ora: aderì al Partito Nazionale Fascista nel 1920 e, l’anno dopo, divenne segretario del Fascio di Ferrara. Nei primi anni del fascismo fu uno degli esponenti di spicco del Pnf, oltre che organizzatore ed efficace comandante dello squadrismo agrario, tanto che riuscì ad avere ai suoi ordini tutte le squadracce fasciste dell’Emilia-Romagna. In seguito fu uno dei membri del gran consiglio del fascismo e comandante della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (Mvsn). La popolarità del gerarca ferrarese, che nel 1922 era stato uno degli organizzatori della marcia su Roma, esplose tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta quando Balbo, che all’epoca era ministro dell’Aeronautica, compì le sue famose trasvolate aeree a bordo degli idrovolanti Siai-Marchetti S.55X. La fama e gli onori maggiori gli giunsero, in particolare, dalle due trasvolate oceaniche: quella Italia-Brasile del 1930 e quella Italia-Stati Uniti del 1933. Cresciuto in fama e popolarità e potere quasi alla pari dello stesso Mussolini, Balbo, nel 1934, fu nominato governatore della Libia. La nomina per un incarico così importante, ma lontano da Roma, giunse probabilmente proprio perché il Duce lo considerava un rivale pericoloso e lo voleva lontano da sé e dai centri del potere romano.

Il 28 giugno del 1940 la vita di Italo Balbo terminò inaspettatamente. Sull’abbattimento del velivolo, in realtà dovuto a un tragico errore della contraerea che lo scambiò per un apparecchio inglese, sorse una nota teoria che ritiene la distruzione dell’aereo voluta dallo stesso Mussolini con il fine di eliminare un rivale politico molto potente, popolare e noto anche all’estero. Il regime, comunque, tributò al governatore ed ex ministro dell’Aeronautica dei solenni funerali di Stato che si tennero il 30 giugno del 1940 a Bengasi. Il 4 luglio, inoltre, le salme di Balbo e degli altri uomini caduti nell’incidente furono portate in parata a Tripoli. E la bara, portata a spalla durante le esequie e nella parata di Tripoli, fu costruita da Pantaleone De Bonis che, nella vita civile, faceva appunto il falegname. Dopo le cerimonie funebri e la parata di celebrazione la salma dell’eroe delle trasvolate oceaniche fu sepolta in Libia per volere del duce. Il corpo di Balbo venne trasferito in Italia, e fu sepolto a Orbetello, solo nel 1970 quando l’ondata di nazionalismo libico sollevata dal colonnello Gheddafi, che era salito al potere l’anno prima, minacciò la distruzione dei cimiteri italiani nell’ex-colonia. La famiglia fu quindi costretta al rimpatrio della salma. E Pantaleone De Bonis? Dopo la costruzione della bara tornò in patria e non prese parte alla la Seconda Guerra Mondiale, ma fu smobilitato e tornò a casa dove riprese la sua modesta vita di ogni giorno, come ricorda il nipote: «Mio nonno ritornò al suo paese e smise di fare il soldato. Riprese il suo lavoro, il falegname, che aveva imparato da ragazzo. Era bravissimo, specializzato nel fare le botti di legno per il vino. Inoltre, ricominciò a praticare la sua grande passione: la musica. Faceva parte della banda del paese, si definiva musicante e suonava il flicorno. Non mancava una festa, era sempre presente con la banda in giro per l’Abruzzo. Ebbe 13 figli, di cui oggi solo cinque sono viventi e morì il quattro marzo del 1980».

 

 

La bara di Italo Balbo portata a spalla dai militari. Foto concessa da Michele De Bonis

Articolo pubblicato l'11/04/2024 sul Quindici n° 20.