art city

A destra e sinistra della Project Room del Mambo le pareti laterali sono riempite e colorate dalle sculture sinuose di Lynda Benglis, mentre il centro della sala e della parete frontale sono occupati dalle opere di un’altra artista, Properzia de’ Rossi. Presente e passato, luoghi e tempi lontani si mescolano e dialogano in un percorso che racconta le vite e le riflessioni di due grandi scultrici, una italiana e del ‘500, l’altra greco-statunitense e contemporanea.

E in effetti è proprio questo uno degli scopi di Art City, la manifestazione culturale all’interno della quale s’inserisce questa mostra inedita, pensata e curata dal direttore del Mambo, Lorenzo Balbi: mettere in connessione tempi e luoghi lontani per abbandonare “questi specialismi che separano”, come li ha definiti Irene Graziani, docente dell’Università di Bologna. “La storia dell’arte serve per capire il nostro tempo; il passato vive nel presente e viceversa”, continua la docente, per questo si rivela particolarmente felice il sodalizio tra queste due artiste. Due donne, due scultrici, due artiste trasgressive che con la loro arte hanno cercato di abbattere limiti e ridefinire canoni.

Nasce alla fine del 1400 Properzia de’ Rossi, l’unica donna a cui il Vasari sceglie di dedicare una biografia nelle sue Vite, insieme a quelle degli altri 178 artisti uomini. Eppure è difficile trovare anche solo un accenno al lavoro dell’artista nei manuali scolastici. E a dir la verità, neanche la biografia citata poche righe fa restituisce la grandezza e la complessità di questa scultrice. “Né si son vergognate [le donne], quasi per torci il vanto della superiorità, di mettersi con le tenere e bianchissime mani nelle cose meccaniche e fra la ruvidezza de’ marmi e l’asprezza del ferro, per conseguir il desiderio loro e riportarsene fama, come fece nei nostri dì la Properzia de’ Rossi de Bologna… Costei fu del corpo bellissima e sonò e cantò nei suoi tempi meglio che femmina della sua città”. In un tempo in cui la scultura era considerata la più nobile delle arti e di conseguenza del tutto inaccessibile alle donne, non sorprende che un uomo, parlando di una scultrice, non si esimi dal commentare la sua bellezza.

E il Vasari continua nominando il marito e poi ancora l’amante; «un tentativo di ingabbiarla all’interno di quell’armonia di rapporti tra uomini e donne tanto celebrata al tempo – continua Graziani – eppure lei non è mai riuscita a stare dentro quei recinti»; e a testimoniarlo è una delle sue opere principali, “Giuseppe e la moglie di Putifarre”. La formella narra l’episodio 36 della Genesi e nello specifico il momento in cui la donna, invaghitasi di Giuseppe, lo rincorre strappandogli la veste. Il punto di vista è del tutto ribaltato rispetto alle classiche rappresentazioni dell’episodio, dal momento che il soggetto principale della formella è la donna, nella quale probabilmente De’ Rossi si identifica.

«Ci impressiona per la libertà mentale con cui riesce a rappresentare in una formella semplicissima una storia biblica, attraverso una modalità, tra l’altro, inedita – continua Graziani –. Anche Properzia aveva una vita sentimentale del tutto irregolare, aspetto che Vasari non riesce minimamente a cogliere. Quella di Properzia non è “leggiadrissima grazia” ma qualcosa che, al contrario, interrompe quell’armonia di rapporti».

La scultura esposta nella mostra è, inoltre, una riproduzione realizzata attraverso un rilievo laser scanner ad alta definizione che non ha previsto in alcun modo il contatto con l’originale, collocato nel Museo della Basilica di San Petronio, alla quale la stessa De’ Rossi lavorò tra il 1525 e il 1526. L’opera originale, spiega sempre Graziani, è stata murata alla Basilica; si tratta, secondo la storica dell’arte, di un ulteriore tentativo, consapevole o meno, di limitare la voce delle donne e nello specifico di quest’artista, per sempre relegata all’interno di quel luogo.

E la stessa trasgressione che caratterizza la vita della scultrice cinquecentesca, accompagna quella di Lynda Benglis, la seconda protagonista di questa mostra. «Anche lei è stata costretta a confrontarsi con un mondo dominato dagli uomini; ben presto si cimenta nella sperimentazione, uno dei primi esperimenti si posiziona a cavallo tra la scultura e la pittura: colando direttamente il colore sul pavimento Benglis è riuscita a creare delle sculture di resina pittorica; ma non solo, uno dei gesti più radicali si colloca negli anni 70, quando, per sponsorizzare la propria mostra, ha realizzato una pubblicità in cui appariva completamente nuda, con degli occhiali da sole e un dildo in mezzo alle gambe»,  racconta Balbi. Si è trattato di un gesto estremamente anti convenzionale che ha suscitato le critiche anche all’interno degli ambienti femministi dell’epoca, che vedevano in quella foto un ennesimo modo per sessualizzare il corpo femminile. Ma cercare di dare una risposta univoca spesso rischia di limitare la portata stessa di certi gesti, che, volutamente ambigui, hanno proprio lo scopo di “metterci a nudo” su certe tematiche.  

La serie di sculture “Untitled” esposte al Mambo, invece, è inedita in Italia e, anche attraverso di esse, Benglis cerca di sfidare il materiale. Realizzati tra il 2015 e il 2021, questi lavori riescono a materializzare elementi che provengono sia dalla grande storia dell’arte che da riferimenti biografici. In esse si ritrovano la monumentalità dell’arte classica, la ricercatezza materica di quella bizantina, il movimento sensuale del Barocco italiano e, nella vasta palette di colori, riferimenti autobiografici che rimandano ad esperienze vissute: le formazioni coralline del Mediterraneo che bagna Kastellorizos (isola natale dell’artista) fino ai colori accesi delle acque del Lake Charles, dove è cresciuta.