Quindici

L’immagine della centrale idroelettrica di Bargi, immersa nel verde brillante degli appennini bolognesi, è una fotografia che in quelle 72 ore ha tradito le speranze di chi continuava a seguire gli aggiornamenti. Ma quello che sappiamo è che rimarrà il momento più nero della storia recente del lavoro in Emilia-Romagna. O così dovrebbe, se solo non fosse che le “morti bianche” sono diventate un fatto comune, ordinario, così come i femminicidi, aggiornati, brevemente raccontati dalla cronaca giornalistica e poi messi da parte. «Sarà una nuova ThyssenKrupp», commentava un signore davanti a un’edicola la mattina del 10 aprile, quando dalle autorità era già arrivata la conferma dell’accertamento di tre vittime e si era in attesa del recupero dei dispersi. Al termine delle ricerche, nella regione fiera di aver sottoscritto il Patto per il lavoro e per il clima, sono stati sette i lavoratori a perdere la vita. Nessuno di questi alle dipendenze di Enel Green Power, ma delle ditte in appalto e in subappalto su cui indaga la procura di Bologna. Lavoratori di 36, 45, 57 e anche un pensionato di 73 anni, un fatto scivolato nella prassi delle anomalie del mondo del lavoro italiano. «Questi sono morti di appalto», ha commentato Michele Bulgarelli – segretario della Cgil di Bologna – durante il corteo indetto lo scorso 11 aprile, in occasione dello sciopero nazionale siglato con Uil. «È inaccettabile e indegno di un Paese civile questo livello di deresponsabilizzazione nella filiera degli appalti che fa sì che Enel Green Power non sia in grado di dare comunicazione ufficiale su quali aziende impiegassero i dipendenti coinvolti nell’incidente», ha proseguito Bulgarelli. Un allarme, il suo, già oggetto di decine di vertenze in Regione. In cui negli ultimi 10-15 anni si è assistito a continui tentativi di sregolare la gestione della logistica, affidando il lavoro di facchinaggio e trasporto al controllo di cooperative inaffidabili. Che non hanno fatto altro che produrre paghe sempre più basse e maggior precariato. A Bologna molte delle vertenze attualmente in corso coinvolgono Coop Alleanza 3.0, nata nel 2016 dalla fusione di Coop Adriatica, Coop Estense e Coop consumatori Nordest. La cooperativa leader nella grande distribuzione che, se nel 2022 registrava ricavi per quattro miliardi, chiudeva l’anno in perdita per 132 milioni di euro. È di qualche settimana fa invece la notizia di una chiusura in utile per la cooperativa dopo anni di passivo. «Perché in questi anni si è lavorato dal punto di vista dei costi, non solo quelli del lavoro», ha spiegato Amilcare Traversa, direttore delle Risorse umane di Coop. L’occasione è stata la commissione consiliare indetta dal Comune di Bologna proprio in merito ad una delle vertenze in cui è coinvolta la cooperativa. Il caso in questione è quello comunicato lo scorso 6 marzo, quando Coop riferisce che esternalizzerà l’allestimento delle scaffalature di cinque supermercati del bolognese: San Ruffillo, Andrea Costa, San Giovanni in Persiceto, Le Piazze di Castel Maggiore e San Lazzaro. Punti vendita di media grandezza con 120-150 lavoratrici e lavoratori. Un ulteriore tassello nella politica deresponsabilizzante del colosso, che «Vuole far fare questo lavoro povero agli operai delle cooperative appaltanti che molto spesso hanno contratti di pulizia-multiservizi sottopagati – spiega Bulgarelli – mentre Coop avrebbe a disposizione un salario nazionale aziendale tra i migliori del settore». Appaltare l’allestimento diurno degli scaffali significa che tra le 5 del mattino e le 23 si allarga di molto la forbice di presenza al lavoro. E se l’obbiettivo è anche quello di ridurre i costi del lavoro, come ha spiegato il direttore delle risorse umane di Coop, non serve certo un immaginario catastrofista per presumere la possibilità di trasferimenti, eventuali demansionamenti e probabili esuberi. «Coop semplicemente non reputa più quest’attività produttiva come parte integrante del core business aziendale – spiega Vincenzo Guerrieri di Usb (Unione sindacale di base) –. Quello che ha messo in campo è un piano per il recupero del dissesto della cooperativa, che spera di far rientrare i conti riducendo i costi del personale. Dal 2016 ad oggi in 4mila hanno perso il proprio posto di lavoro». Il confronto di queste settimane sull’esternalizzazione sembra però per Coop già a un punto morto. Da due settimane Glam, una multiservizi romana, ha fatto ingresso in un paio di negozi coinvolti dalla vertenza. «Se ormai possiamo capire che per Coop l’appalto dei magazzini non venga più considerato parte centrale del lavoro – riferisce Francesco Devicienti, funzionario Filcams Cgil Bologna – lo stesso non può dirsi per i negozi. Perché questo non ci garantisce verrà applicato il contratto commerciale sottoscritto e riconosciuto dalla cooperativa». E nonostante per Coop si tratti di un riassesto organizzativo, su questo “accavallamento” di lavoratori di aziende diverse iniziano a emergere i primi problemi. «Le lavoratrici che da anni si occupano degli allestimenti in questi negozi ci riferiscono di aver a che fare con personale non formato dalle cooperative – spiega Guerrieri di Usb – il che non fa altro che creare problemi organizzativi e costringerle a dover rifare il lavoro. Oltre a sfruttare lavoratori che con i contratti dei multiservizi saranno costretti a lavorare 10-12 ore al giorno».