QUINDICI

«La parola recupero non vuol dire niente. La Costa Concordia si recupera, non un tossicodipendente. Lui si cura». Provocatorio, sincero, a parlare sotto i baffi grigi consumati dal fumo è Salvatore Giancane, medico al Sert di Bologna dal 1994. Trent’anni di lavoro da dirigente medico delle farmaco tossicodipendenze all’Ausl, “festeggiati” proprio il 1° aprile scorso, duranti i quali ha visto cambiare attori e consumatori nel grande mondo delle sostanze. Prima ha lavorato nelle strutture penitenziarie, con «le carceri – racconta - che non erano un posto per delinquenti, ma un lazzaretto di disperati». Poi, l’ingresso più tardi nelle strutture assistenziali pubbliche: i Sert appunto. A Bologna, quello dove presta servizio, in zona ovest, è localizzato in un container alle spalle dell’ospedale Maggiore: «Questa struttura vale quanto i suoi pazienti», commenta sarcastico, guardando i muri plastificati, le sedie bianche lungo il corridoio in cui seduti ad aspettare ci sono tanti, uomini e donne, in attesa di ricevere le terapie. «Doveva essere una sistemazione provvisoria, ma alla fine siamo rimasti qui», conclude. Sul presente e sul futuro di questi servizi infatti ha molto da dire e per certi sensi da recriminare: «Ci hanno saccheggiato» e guarda in alto.

«Ci hanno tolto finanziamenti. Ma noi – questo bisogna saperlo - continuiamo a fare un lavoro urgente». Un lavoro che da quell’anno zero è cambiato, senza retrocedere di un millimetro. Ha assunto forme e strategie diverse, adattandosi di volta in volta agli allarmi sociali e a quelli in strada. «Quando sono arrivato, l’emergenza era una sola: e si chiamava eroina – racconta - Operai, così come piloti d’areo che facevano di tutto pur di procurarsi dosi, che allora potevano costare anche 100 mila lire ciascuna». Un mercato “ricco” che si portava dietro però uno sciame di morte. «La mia principale attività da giovane professionista era andare al funerale dei pazienti. Oppure – in casi altrettanto drammatici -accompagnarli lentamente alla morte. Persone che venivano letteralmente mangiate da questa droga».

Dopo, grazie al lavoro medico, dalla metà degli anni ’90, il cambio di prospettiva, con nuove possibilità. «Con farmaci come il metadone, che riduce il rischio di overdose del 99%- siamo riusciti appunto a “ridurre il danno”. Non solo a salvare pazienti, ma anche a renderli trasparenti. Ovvero, ritornavano ad andare a lavoro, ad avere relazioni sociali. E poi con l’attività di informazione e prevenzione, abbiamo contribuito a “far scomparire” l’ Aids. L’ultimo caso di positività che ho rilevato risale al 2010. Un grande traguardo». Un successo, che ha cambiato le sorti di questa città, come quelle del Paese, fa notare. «Eppure, nonostante questo, si è mai vista la televisione, la radio venire qui per raccontare cosa stavamo facendo? No. Andavano San Patrignano. Dove le persone prese in carico erano solo centinaia, mentre nel sistema pubblico decine di migliaia». Una sottovalutazione di importanza e di metodo, che forse potrebbe compromettere la lotta all’altra sostanza, che ora nel sistema fa padrona insieme ai suoi effetti. Nel periodo che va dicembre 2019 a fine 2022, sono 10.000 le persone che si sono rivolte a una struttura sanitaria dell’aria metropolitana di Bologna, per problemi dovuti a una sostanza psicoattiva (comrpreso l’alcol), ma con un aumento delle problematiche relative alla cocaina (194 casi solo nel 2022). «Negli anni ‘90 - spiega - su 50 persone che assistevamo, solo una si faceva di coca. Ora le proporzioni sono cambiate totalmente, si è arrivati al pareggio. E la coca è addirittura in vantaggio sui nuovi casi». Con una platea, da inizio nuovo millenio a ora, sempre crescente e variegata. «Ci sono più adulti, più anziani – fa notare Giancane - così come più uomini e più donne». Uno scatto le cui ragioni si possono rintracciare in vari fattori: «È stata la ‘ndrangheta a portarla sul mercato e a proporla direttamente insieme all’eroina (che diminuiva a livello di costi), in quello che all’inizio è stato un canale doppio. Un uso che si è intensificato e ha raggiunto tantissime persone. Migliaia quelle che approssimativamente ne fanno uso a Bologna, compresa una grande percentuale di sommerso». Non tutti si rivolgono al Sert. «Perché è uno stupefacente che si presta in parte ad essere invisibile, anche nel consumo. Ci sono i “weekender”, gli “occasionali”, che riescono ad avere un’autonomia dalla sostanza. C’è invece, poi, chi se ne inizia a fare un uso continuativo e intenso, fa il cosiddetto switch. Questa droga è come se avesse un interruttore: clic, e non ne puoi più fare a meno».

Alla fine al Sert, per la cocaina, arrivano i fragili «Quelli che non ce la fanno più economicamente – un grammo ad oggi costa circa sugli 80 euro – e quelli che ne risentono più a livello psichico». È una droga che come tutte ha conseguenze diverse sul tessuto umano di ognuno può essere accompagnata da aumento dell’aggressività, così come da ideazione persecutoria. «Con la nostra attività, credo che oltre ad appportare benefici ai soggetti, riusciamo ad evitare circa 150 carcerazioni l’anno, così come vari episodi molesti». E a garantire alla società un futuro. «Se ne può uscire sì, ma sono necessari tempo, pazienza.

Nel caso della cocaina, sosteniamo questi percorsi con terapie a base di farmaci psicotici e , dove possibile, con gli inserimenti in comunità. Quando il soggetto si riassume la sostanza, poi, occorre fare reset e ripartire praticamente da zero. È importante non arrendersi e non scambiare la cura con la guarigione, che richiede anni e consapevolezza che la dipendenza è una malattia cronica. Comunque, per la casistica che c’è, ci vorrebbero soltanto in questo punto Sert almeno tre medici in più, così come più operatori». Un orizzonte possibile? «Al momento, a giudicare dalla risorse, no. Come diceva Totò, la somma fa il totale e noi qui non siamo abbastanza valorizzati. Forse, un giorno qualcuno se ne renderà conto e le scelte adottate saranno diverse».

 

In foto Salvatore Giancane. Foto concessa dall'intervistato

 

L'articolo è stato già pubblicato su Il Quindici n. 20 dell'11 aprile