Saggio

«Una radio è prima di tutto uno strumento democratico, perché libera dall’immagine: questo permette alle persone che fanno parte di gruppi “minoritari” di trovare modo di esprimersi senza che chi li ascolti cada in pregiudizi che spesso sono inconsci, parte di bias che hanno a che vedere con il modo di apparire». Questo concetto è già abbastanza esplicativo di cos’è la radio per Alessandro Canella, il direttore di Radio Città Fujiko, che oggi pubblica il suo primo libro Onde ribelli. La radio come trasformazione, edito da Armillaria. 

Radio Città Fujiko è una radio indipendente che trasmette su Bologna e provincia da oltre quarant’anni. Per far capire quanto è parte integrante della città, quando nel 1977 fu sgomberata la famigerata Radio Alice, durante l’ultima diretta speakerata da Valerio Minnella, quest’ultimo chiese agli ascoltatori di cercare la solidarietà di Radio Città, che poi divenne appunto “Fujiko”. 

Di questo, delle continuità con le radio libere del Movimento del ’77 e del suo nuovo libro, che esce nel centenario dello strumento radiofonico, abbiamo parlato con l’autore, Alessandro Canella.

 

Parto chiedendole di cosa parla questo libro?

«Parto dicendole che lavoro a Radio Città Fujiko, che è una radio comunitaria e indipendente, da quasi 25 anni e in questi anni ho incontrato progetti radiofonici tra i più vari. Nel libro non parlo ovviamente solo della mia radio, ma parlo di varie realtà sparse in tutta Italia, che intendono lo strumento radiofonico non semplicemente come un mezzo di comunicazione di massa ma come strumento di intervento sociale».

È un saggio? Spiega anche come fare radio?

«Si tratta a tutti gli effetti di un saggio e ci si può trovare dentro dei modi di fare radio, cioè è anche un po’ un manuale, perché a un certo punto mi sono chiesto: "Ma perché in progetti con migranti, con persone senza tetto, con persone seguite da dei servizi di salute mentale e poi tante altre 'categorie' - anche se non gli piace chiamarle così - si usa lo strumento radiofonico?" E ho trovato due tipi di risposta: da un lato la questione tecnica e dall’altro la questione psicologica-sociale. La radio da un punto di vista tecnico è uno strumento molto leggero e versatile, lo dimostra anche il fatto che è stato un media utilizzato anche durante le catastrofi naturali tipo il terremoto in Irpinia o del Friuli. Dall’altra c’è la questione più psicologica e sociale: la radio non ha immagini e dunque non si trascina dietro lo stigma che spesso si associa all’immagine. Questa questione riguarda soprattutto le persone appartenenti a una “categoria” marginalizzata, che senza la parte visuale possono essere se stesse senza per forza essere legate alla categoria a cui la società le relega. Questa è una cosa che ho testato personalmente con il laboratorio che facciamo con la Caritas su Radio Città Fujiko: le persone che vivono situazioni di disagio sociale non tendono mai a parlare dei problemi che vivono o della loro condizione, ma parlano delle loro passioni. E spesso hanno anche grandissime competenze specifiche, che rendono i programmi radiofonici che conducono molto di qualità». 

Quindi definirebbe la radio uno strumento democratico? 

«Sì, sicuramente sì! Poi il lavoro radiofonico non è individuale, è collettivo, ti puoi mettere alla prova in un ambiente protetto perché comunque non sei davanti a un pubblico ma dietro un microfono e spesso questo aiuta a riacquisire l’autostima. Ci sono esempi di vero e proprio reinserimento sociale proprio di alcune persone». 

Il 21 aprile presenterà il libro con Valerio Minnella, storico attivista bolognese e speaker della famosa Radio Alice, la radio libera che fu la voce del Movimento del ’77 bolognese. Vede Radio Città Fujiko come un prosieguo - anche mediante un esercizio di fantasia - di quella che fu Radio Alice?

«Radio Alice è rimasta nella storia ovviamente, anche per come ha chiuso, ovvero quando era appena nata e per via di uno sgombero. Nel libro faccio anche una piccola stoccata a Radio Alice perché, citando Guccini, “gli eroi sono tutti i giovani e belli” e la provocazione che faccio riguarda proprio la mitologia legata a quell’esperienza che appunto ha chiuso in fretta, perché con quella formula molto anarchica che si era data non so quanto sarebbe durata. Detto questo, ovviamente io conosco Valerio da anni ed è un mio amico: mentre Radio Alice veniva sgomberata lo stesso Valerio diceva ai compagni di cercare la solidarietà delle altre radio libere e di una certa “Radio Città”, quella eravamo noi, che esistevamo già, il numero di telefono è ancora oggi lo stesso. C’è già quindi una connessione storica con Radio Alice, diciamo. Poi c’è sicuramente la questione che come radio Alice siamo indipendenti, ma non direi che ne siamo la prosecuzione. Le tre grandi rivoluzioni interessanti che fece quella radio però sono rilevanti da considerare: in primis introdusse il linguaggio sporco, poi furono i primi a mandare in onda le telefonate degli ascoltatori e scelsero di non avere un palinsesto, chi voleva poteva trasmettere se trovava la diretta libera, un’operazione tanto dadaista quanto difficile da portare avanti».

 

Il libro esce per Armillaria, casa editrice indipendente che pubblica testi vari legati alla saggistica della contemporaneità. Le prossime presentazioni del volume in città saranno domani, 5 aprile, a Camere d’Aria in via Guelfa 40\4 e il 21 aprile a Sant Jordi, il festival delle librerie indipendenti, che si terrà a Porta Pratello in via Pietralata 58.

 

Foto concessa da  Radio Città Fujiko