guerra

Valerio Minnella è uno che la cartolina, quand'è arrivata, l'ha bruciata e ha passato la vita intera a lottare contro il militarismo. Si è fatto il carcere, militare e non, poi con alcuni compagni ha dato vita al primo collettivo di obiettori di coscienza, le cui basi poi si concretizzano nell'approvazione da parte del Parlamento, nel dicembre 1972, della legge sull’Obiezione di Coscienza e il Servizio civile sostitutivo. InCronaca ha intervistato la storica voce di Radio Alice, l'anima radiofonica del '77 bolognese, per approfondire il tema della leva obbligatoria. Tematica tornata alla ribalta mentre dall'altra parte del Mediterraneo in sei mesi sono state uccise 31mila persone e la Russia mostra le unghie all'Europa per l'attentato a Mosca, Bruxelles avvisa: c'è necessità di una «preparazione militare-civile rafforzata nonché coordinata». Dopo aver più o meno guardato dallo spioncino i "conflitti altrui" per anni, nelle case d'Occidente si inizia a paventare un'idea concreta del concetto di guerra che, forse, finora è rimasto solo un fumoso punto interrogativo nella testa dei più. «Nessuno vuole combattere. Ma nessuno vuole nemmeno essere invaso», ha riferito il presidente della Lettonia Edgars Rinkēvičs in un’intervista al "Financial Times". Ed ecco che, in un momento in cui le piazze del mondo si riempiono di nuova linfa antimilitarista, le università vengono fisicamente occupate da centinaia di corpi, i governi serrano le fila e sembrano perdere il controllo. La leva obbligatoria l'Italia se l'è lasciata alle spalle nel 2004 con la legge numero 226, poi entrata in vigore nel 2005. E invece sono tante le cose che negli ultimi tempi parrebbero tornare alla ribalta: aumento della spesa militare e di nuovo la naja. Ma perché una pratica impopolare - e lo dicono le piazze - antieconomica e «per niente efficiente» torna alla ribalta?

 

Valerio Minnella, che lei sia contrario alla leva obbligatoria lo dimostra la sua vita. Perché in Europa si paventa la sia reintroduzione?

«Ci sono due ragioni perché un Paese chiami la coscrizione obbligatoria. La prima è che serva carne da cannone: il coscritto costa poco e può essere ammazzato, mentre il militare professionista, che ha affrontato una preparazione più lunga, costa di più ed è meglio "salvarselo". In poche parole, il coscritto può servire se si pensa di combattere in una situazione in cui devono mandare a morire delle persone. La seconda ragione - e credo sia quella attuale - è propagandistica. La guerra oggi, ma anche tempo addietro, prevede l'utilizzo di attrezzature estremamente complesse per cui occorrono anni di addestramento e ha senso solo se si ha un esercito di professionisti. Un esercito di gente senza preparazione tecnica serve veramente a poco. Lo vediamo in Ucraina dove hanno spedito al fronte un sacco di gente che è semplicemente morta, così come in Russia. La differenza sul campo l'hanno fatta i mezzi tecnologici. La leva obbligatoria ha senso quindi dal punto di vista propagandistico, serve a compattare il valore e aumentare il consenso della popolazione». 

 

Ha ancora senso parlare del concetto di "patria"?

«Per me la patria è intesa come confine politico che racchiude un'etnia. I vecchi anarchici dicevano: "Nostra patria il mondo intero, nostra terra libertà". Non ha mai avuto senso, è una roba propagandata durante il fascismo e che si tira fuori in questi termini solo appunto dal punto di vista della propaganda della coesione interna. Coesione che non serve a unire gli italiani, per esempio, ma piuttosto a disunirli dagli altri. Fingere l'unione da una parte insomma, che serve a dire agli altri "tu sei diverso, quelli sono i tuoi nemici"». 

 

Crede che in l'Italia tornerà la leva obbligatoria? 

«E' possibile perché giuridicamente noi non abbiamo abolito il servizio militare obbligatorio, ma sospeso. Quindi è possibile, ma non probabile. Sono i militari in primis a dire che della leva non se ne fanno nulla».

 

Nell'eventualità, crede che i giovani possano unirsi in un movimento collettivo antagonista alla militarizzazione del paese?

«Non mi pare affatto che nei giovani di oggi ci sia una spinta militarista: in molti protestano sui social e nelle piazze. Alcuni di loro sembrano poco attenti, ma quando glielo chiedi ti rispondono fermamente di "no" (alla guerra, ndr). E mi pare, piuttosto, che ci sia una certa coscienza rispetto al senso di fratellanza, maggiore rispetto ad altre fasce d'età. Quando vado in giro a presentare il mio libro ("Se vi va bene bene se no seghe", Edizioni Alegre) incontro tanti giovani e ho scoperto - con stupore - che ogni anno al Servizio civile partecipano 50-60mila ragazze e ragazzi, che mettono per un anno il loro corpo a servizio di tutti». 

 

Se l'Italia la chiamasse oggi cosa risponderebbe?

«Come ogni giorno, diserzione!»

 

Nell'immagine Valerio Minnella. Foto concessa dall'intervistato