violenza di genere

«Lo dice la procura, l’ha detto la procuratrice aggiunta, l’hanno sostenuto le parti civili: è un duplice femminicidio».  È la prima considerazione di Rossella Mariuz, avvocata dell’associazione Udi (Unione donne italiane), interpellata da InCronaca dopo il colpo di scena con cui si è aperto ieri il processo in Corte d’assise a Giampaolo Amato, l’oftalmologo accusato di aver avvelenato la moglie Isabella Linsalata e la suocera Giulia Tateo. Il giudice Piero Luigi Di Bari ha infatti negato a Udi la costituzione di parte civile nel processo, valutando che il reato contestato non possa essere considerato un femminicidio. Secondo il giudice, dal capo d’imputazione emergerebbe infatti un movente di natura esclusivamente economica, per motivi ereditari, e non una violenza sulle vittime in quanto donne.  La Corte, quindi, condivide la posizione sostenuta della difesa dell’imputato, adottando una lettura del capo d’imputazione e dello statuto che, secondo Mariuz, sarebbe «assolutamente riduttiva», perché non tiene conto della relazione extraconiugale che il medico intratteneva da tempo e che, secondo l'accusa, avrebbe voluto vivere più liberamente.

La decisione, spiega l’avvocata, non considera dunque una parte importante dei capi d’imputazione, che comprenderebbero l’aggravante del legame coniugale e dei futili motivi; e proprio nei futili motivi del duplice omicidio rientrerebbe la volontà di Amato di vivere più serenamente la propria relazione con un'altra donna. Queste aggravanti, spiega l’avvocata, giustificherebbero appieno la partecipazione di Udi nel processo come parte civile: «Già con capi d’imputazione e aggravanti molto simili noi di Udi siamo in passato state riconosciute parti offese – spiega la legale – in ben altri sette femminicidi».

Il lavoro di Udi sul territorio, aggiunge Mariuz, è costante e sempre uguale: sportelli cittadini e metropolitani, centri antiviolenza, iniziative di prevenzione. Nulla di diverso dai casi precedenti, dunque, eppure «questa volta è stato detto che noi non abbiamo avuto un danno immediato e diretto, e non ci è stata riconosciuta la veste di parte offesa».

Non è d’accordo il questore Antonio Sbordone, che condivide la decisione del giudice Di Bari. A un convegno di oggi sull’8 marzo, il questore ha commentato: «Generalizzare non è mai positivo. Bisogna stare attenti alla definizione di femminicidio». Sbordone ha aggiunto che «quando si fanno i conteggi delle persone uccise», emergono da un lato «i femminicidi, che sono quelli che conosciamo e che hanno come motivazione la prevaricazione dell'uomo sulla donna», e dall’altro «casi non meno gravi, ma che sono un'altra cosa». La distinzione, secondo Sbordone, è necessaria per «conoscere il femminicidio e contrastarlo meglio, con strumenti specifici».

 

 

L'avvocata Rossella Mariuz, foto concessa dall'intervistata. Nell'immagine di apertura, Isabella Linsalata. Foto: Ansa