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In vista dell’8 marzo abbiamo cercato di approfondire il significato storico della Giornata Internazionale Delle Donne grazie all’aiuto di Elena Musiani, ricercatrice in storia contemporanea dell’Università di Bologna

L’8 marzo è considerato dalla maggior parte delle persone come una festa, eppure si tratterebbe più che altro di una celebrazione o di una giornata internazionale. Da cosa deriva secondo lei questo fraintendimento?

«Credo che il problema principale sia la poca conoscenza di questi temi. Negli ultimi tempi dagli addetti e dalle addette ai lavori c’è consapevolezza che si tratta di una Giornata internazionale dei diritti della donna, ma tra le masse è rimasta l’idea della festa. Si è persa la memoria storica e il significato dell’8 marzo dal punto di vista dei diritti per dare prevalenza a una sorta di festa che non si capisce da dove derivi»

Ci può spiegare qual è la storia di questa giornata internazionale?

«Al netto del mito che si è costruito intorno all’8 marzo, la storia della fabbrica incendiata dove sono rimaste uccise diverse donne, non si sa bene quante né dove – si parla di una fabbrica a New York, ma anche a Chicago e Boston – c'entra ben poco. Questa è ormai più che altro una narrazione mitologica che mette insieme un po’ di frammenti di realtà storica. È vero che a New York, in una fabbrica tessile, a seguito di una manifestazione e di uno sciopero ci fu un incendio. Ma non c’è nessuna relazione con la giornata dell’8 marzo. Infatti se dovessimo andare a recuperare la storia dovremmo andare al 1910 nell’ambito dell’Ottavo congresso internazionale socialista all’interno della Seconda conferenza internazionale delle donne socialiste a Copenaghen. In occasione di questa conferenza Clara Zetnik, socialista tedesca, ebbe l’idea di stabilire una data dedicata alla questione femminile all’interno della quale includere anche il tema del suffragio femminile. Il primo 8 marzo della storia fu organizzato nel 1914, quando sempre le tedesche scelsero di organizzare una giornata delle donne. Poi ce ne sarà una a Pietrogrado nel 1917 ma, a causa della guerra, in Europa se ne riparlerà dopo la fine del conflitto e in Italia dopo la Seconda guerra mondiale, grazie alle donne dell’Udi».

E come mai la mimosa è diventato il simbolo di questa giornata Internazionale?

«Per questo dobbiamo guardare all’Italia. Siamo nell’immediato secondo dopoguerra. Nel 1946 le donne dell’Udi, e nello specifico Teresa Noce, decidono di celebrare l’8 marzo. Viene scelta la mimosa come simbolo perché sono i fiori di stagione e quelli più economici da reperire. E, per quel femminismo, è rimasto il simbolo dell’8 marzo, infatti, le donne dell’Udi ancora vendono la mimosa in piazza».

Come è cambiato nel tempo il modo di celebrare l’8 marzo da parte dei movimenti femministi?

«La prima volta che le femministe sono scese in piazza per celebrare la giornata internazionale delle donne fu l’8 marzo 1972 a Roma, in campo dei Fiori. Si trattava di una giornata che aveva lo scopo di rispondere a tutte quelle “nuove rivendicazioni” nate dal ’68 in poi: critica all’autoritarismo e alla società nel frangente del Femminismo degli anni ’70.

Oggi le piazze dell’8 marzo sono riempite soprattutto dai cortei di Non Una Di Meno, il movimento femminista e transfemminista che si batte contro ogni forma di violenza di genere che mette in scena inevitabilmente nuovi slogan e simboli».

Essendo lei anche una professoressa universitaria, ritiene che a livello universitario sono sufficienti i corsi di gender studies e ci sono dei corsi in cui è obbligatorio frequentare questi corsi?

«Io da anni insegno al Master in Gender Studies all’Università di Bologna ma si tratta di un’eccezione; nel dipartimento di storia ci sono dei corsi che però non sono obbligatori e soprattutto in Italia ci sono pochissimi dipartimenti di studi delle donne. Sarebbe bello se ci fossero corsi obbligatori ma in generale l’ideale sarebbe anche che ognuno, all’interno dei corsi non specifici, parlasse anche della storia delle donne, in maniera il più possibile organica».

Cosa consiglierebbe a chi volesse avvicinarsi a questi temi?

«Adesso la storiografia si è davvero rinnovata. La società italiana delle storiche da anni lavora con Viella che ha diverse collane e anche una rivista. Ci sono volumi e libri molto approcciabili, anche il Mulino qualche anno fa fece una serie di libri sulle donne nel Risorgimento, nella Prima Guerra Mondiale, nell’Unita d’Italia, ecc. Tra l’altro a Bologna esiste anche il Centro delle Donne dove c’è sia la biblioteca che l’archivio e questo può rappresentare un luogo e uno spazio per informarsi e aggiornarsi. Tra l’altro vengono organizzati periodicamente incontri e dal 22 febbraio è cominciato un nuovo ciclo di eventi».

 

Foto concessa dall'intervistata