Starbucks

“Salve vorrei un frappuccino al caramello”, inizieranno a dire bolognesi e turisti che attraversano il centro storico sotto le Due torri. Sì perché domani apre Starbucks a Bologna, il 35esimo bar in Italia della catena americana, il primo in Emilia-Romagna. Il locale nasce nella parte pedonale di via D'Azeglio, a due passi da piazza Maggiore, in una location storica occupata fino a poco tempo fa dalla libreria Mondadori. L'apertura di Starbucks è stata concessa dal Comune in deroga al decreto Unesco, che tutela il tessuto commerciale del centro cittadino. Si tratta di un altro passo verso quel cambiamento dei quartieri storici per come li conosciamo, fatti di piccole attività di famiglia, artigiani, commercianti e trattorie.

«Starbucks a parte, questa è la tendenza comune di tutte le città turistiche: concentrare i servizi, bar e ristoranti, nell’area più turistica, proprio per rispondere alla domanda dei visitatori – ha commentato Roberto Patuelli, professore di economia del turismo all’Alma Mater –. Però, com’è noto in letteratura, quando il fenomeno eccede, la città diventa una vetrina a cielo aperto. Si chiama” musealizzazione” del centro storico».

Da circa trent’anni, ma soprattutto negli ultimi 10, in Italia e nel resto del mondo stiamo assistendo a un turismo di massa che ha preso d’assalto i centri cittadini provocando l’esodo dei residenti e la “gentrificazione” delle aree di pregio, ovvero la migrazione dei benestanti del centro verso i sobborghi. Un fenomeno che è diventato inarrestabile a Firenze e Venezia, dove le strade rinascimentali ormai sono invase da paninari, ristoranti per turisti e minimarket, là dove gli abitanti storici trovavano i loro negozi di fiducia. Proprio nella città dei Medici si parla di “Borg’unto” per descrivere quelle vie ormai sporche di cartacce alimentari e ketchup sulle strade lastricate.

Ma il problema non pare essere la multinazionale di turno che apre (anche Eataly ne fa parte ma è ben integrata nel contesto culturale dei centri storici), quanto l’esplosione degli affitti brevi ai turisti. «Molti residenti del centro di Bologna lamentano una presenza eccessiva di turisti. Il problema sono gli affitti brevi degli Airbnb – ha spiegato il professore. Nessuno trova più un affitto perché la competizione è altissima e non c’è una norma nazionale che la regolamenti»

E qui casca l’asino, sulle leggi che mancano. «Spetta al governo centrale regolare – continua Patuelli –. L’unica cosa che ha fatto finora è stato contrastare il nero nel mercato degli affitti brevi. Va bene ma non è ancora abbastanza perché chiunque abbia una casa può metterla sugli affitti brevi tipo “Airbnb” dall’oggi al domani senza tutte quelle accortezze che vengono richieste agli albergatori».

Si profilerebbe peraltro una concorrenza sleale verso gli hotel e anche per questo, oltre che per tutelare il centro Unesco, il sindaco di Firenze Nardella ha dato lo stop ai nuovi Airbnb. È la prima norma in Italia del genere: bisogna vedere se reggerà ai ricorsi. «La mia impressione, ma non ne posso essere certo – ha raccontato il docente dell’Alma Mater –,  è che soprattutto durante il Covid i proprietari di molte case  in affitto (per esempio a studenti), rimaste vuote, abbiano deciso di ristrutturare i locali per metterli in affitto breve ai turisti, fenomeno che non a caso è diventato molto popolare in quel periodo».

Insomma, all’origine del turismo trash ci sarebbe l’esplosione delle mini locazioni stile far west, ma questo non sarebbe possibile senza tutti quei nuovi turisti che provengono dall’Asia. I “nuovi ricchi” che cercano l’italianità nei centri storici ma non si rendono conto di mangiare panini preconfezionati e cappuccini d’asporto. È una questione di mercato: tanti  turisti, tanti locali dove mangiare fuori e case in affitto per pochi giorni. Overtourism: un turismo di troppo che si prende più di quello che lascia alle città. A Firenze e Venezia il fenomeno è ormai irreversibile. Ma qui da noi? Patuelli risponde: «Bologna non potrà mai arrivare al caso di Firenze, perché non ha il suo patrimonio culturale. Ma la direzione è quella. Starbucks in sé non è il problema. È  attraente per i turisti che riconoscono il brand e per i giovani italiani di oggi  che sono più internazionali». Il mondo è più globale, basti pensare a come i social rappresentano questi prodotti e marchi. Il caffè d’asporto non è più solo un’“americanata”, ma una moda anche degli under 40 bolognesi. «Da una parte è una normalizzazione per noi italiani – ha detto l’esperto – perché andare da Starbucks rappresenta un modo diverso di consumare e di intendere il tempo libero: più moderno e flessibile».

La sfida dei centri storici resta tutta in mano agli amministratori, in primis locali. Roberto Patuelli è chiaro: «Bisogna saper bilanciare gli interessi legittimi di chi fa affari e quello dei residenti che hanno diritto a vivere senza stravolgimenti. È una sfida aperta perché al momento non ci sono molti strumenti normativi. È un fenomeno globale. New York e Barcellona hanno già limitato gli affitti brevi. È da vedere se avrà successo l’iniziativa di Nardella».

 

Nell'immagine Roberto Patuelli. Foto concessa dall'intervistato