Università

«Abbiamo 89 corsi in lingua inglese su 260. Scegliere l’insegnamento in inglese è ovvio non solo per i corsi di studio che sono diventati di respiro internazionale – come il caso della triennale riminese del Turismo - ma anche perché fa guadagnare una maggiore attrattività all’Università». È quanto dichiarato dal rettore dell’Università di Bologna, Giovanni Molari, ai microfoni di Radio 24 questa mattina, in risposta alle critiche sollevate dal presidente dell’Accademia della Crusca e professore ordinario di linguistica Paolo D’Achille.

Ai dubbi del linguista – preoccupato che «i corsi triennali erogati interamente in inglese non possano garantire il requisito, legalmente obbligante, di un adeguato possesso della lingua italiana» - Molari e l’Alma Mater hanno risposto con i numeri. «L’Ateneo riceve ben 86 mila domande di iscrizione all’anno e immatricola 26 mila studenti. L’inglese risponde a una scelta specifica di internazionalizzazione, che negli ultimi anni è aumentata del 10%».

L’introduzione dell’inglese, quindi, aumenta di tanto le capacità di accogliere e integrare studenti stranieri, quanto la possibilità di fornire agli iscritti italiani gli strumenti adeguati per passare un periodo all’estero. Come confermano i dati, sono quasi mille in più gli studenti internazionali di oggi, rispetto ai 7.062 di tre anni fa. Anche quelli che hanno partecipato a un Erasmus sono cresciuti progressivamente negli anni: ai 3.341 studenti che hanno passato un periodo all’estero nel 2018, l’anno in corso ne contrappone 3.604, dimostrando una ripresa soddisfacente degli spostamenti addirittura superiori rispetto al periodo precedenti al Covid.

«La scelta di sopprimere il corso di Economia del Turismo, conservando la versione in inglese Economics of Tourism and Cities, dipende esclusivamente da un fattore numerico: la triennale in italiano aveva molti meno iscritti», dice Molari confermando l’obbiettivo dell’”università più vecchia del mondo” che, con i suoi 97 mila studenti, punta a crescere sempre di più per importanza internazionale. E per mantenere alto il numero di iscritti e docenti italiani e stranieri, non c’è strategia migliore, secondo Molari, «di scegliere di introdurre delle lezioni di italiano nei corsi tenuti in inglese, così da insegnare e far conoscere parte della nostra cultura».

 

Maurizio Molari. Foto: Ansa.